Con sano senso di realismo politico, nel rigoroso rispetto della volontà manifestata dai partiti democratici maggiori e senza rinunciare ai diritti inviolabili delle minoranze – le due facce d’una democrazia praticata –, Pier Ferdinando Casini ha scelto di concorrere ad una coalizione che comprenda il nuovo centrodestra di Angelino Alfano, il partitone di Silvio Berlusconi e il massimo numero possibile di quei cespugli che potrebbero persino rivelarsi decisivi nel superamento del quorum del 37 per cento e l’affermazione di tale alleanza sul sinistra-centro di Matteo Renzi.
Colpiscono positivamente le motivazioni addotte da Casini che, per lungo tempo, ha invano perseguito un’altra strategia: la realizzazione di un terzo polo laico-cattolico capace di restringere le aree di consenso dei due principali partiti, nessuno dei due in grado, da solo, di egemonizzare una maggioranza parlamentare e di governo, assicurando stabilità istituzionale. Attestandosi su tale linea, l’Udc aveva visto gradualmente assottigliarsi le proprie rappresentanze, per finire, nel voto del febbraio 2013, quasi assorbito nell’operazione Monti, che ambiva a proporsi come primo partito italiano e riuscito a entrare in Parlamento con un miracoloso superamento dello sbarramento minimo del 10 per cento.
Monti non ha ancora compreso che il suo nome, da solo, non costituiva una garanzia di richiamo elettorale e di successo politico. Il navigato Casini ha invece compreso che l’emersione prepotente di un vero terzo polo rappresentato dal grillismo aveva già di per sé eroso nell’elettorato di destra e in quello di sinistra e che, benché autoisolatosi quale movimento antiparlamentare, il M5S ha ad un tempo reso impossibile un bipolarismo di tipo occidentale e ridotte al lumicino le possibilità di recupero del vasto, frazionatissimo fronte dei centrini. A nessuno dei quali i seggi attuali e quelli prevedibili forniscono numeri sufficienti per fare pendere tranquillamente la bilancia politico-parlamentare ora in favore di un polo, ora a beneficio dell’altro.
Casini afferma un concetto oggettivo: il modello elettorale concordato non è quello preferito dai centristi (cioè il cancellierato alla tedesca), ma è pur sempre una buona legge che, sommata alla riforma del senato, del Titolo V Cost., del finanziamento dei partiti, dei costi della politica e dell’ordinamento del lavoro, può riportare l’Italia a funzionare. Sarebbe preferibile ancora qualche ritocchino, ma ciò che l’Italicum implica praticamente, è il meglio che si potesse democraticamente ottenere.
Piccolissimi centrini, ridotti a gruppi personali di personalità che hanno attraversato troppi partiti per continuare a rimanere credibili, coerenti e fermi nelle scelte di fondo, non sono oggettivamente in condizione né di provocare rivolte parlamentari e politiche, né di accogliere consensi ambivalenti (o verso destra o verso sinistra). Se ne facciano una ragione: se gli elettori non li premiano e li scansano, è evidente che non li ritengono in condizione né di giovare né di nuocere. Mentre, nel suo piccolo – ma strategicamente impostato e decisivo – Casini ha introdotto un elemento di chiarezza: che vale per le amministrative, per le europee e per le politiche. Gli altri gruppetti di centro, provenienti dalla frantumazione di Scelta Civica, se ne facciano una ragione.