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Chi sfotte i giovani senza lavoro. Benvenuti alla fiera delle parole in libertà

“Il lavoro c’è ma i giovani non sono così determinati a cercarlo”. John Elkann, il presidente di Fiat, il fratello che non sbaglia i congiuntivi, l’ha sparata grossa. Quasi contemporaneamente la Bce lanciava l’allarme perché la disoccupazione giovanile in Italia aveva sfondato la soglia del 40%.

I NUMERI
Tra dicembre 2006 e dicembre del 2013 il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è più che raddoppiato, passando dal 20,2% al 41,6%, secondo quanto rilevato dal Ministero del Lavoro nel Programma italiano sulla Garanzia per i giovani 2014-2020. Inoltre, dal 2007 sono finiti in fumo 1,8 milioni di posti di lavoro in totale, secondo l’ufficio Studi di Confindustria che comunque prevede una ripresa dell’occupazione dal 2014, nella misura, udite udite, dello 0,1%.

LE PAROLE DEL GIOVANE JOHN
Ma John, ricciolo ribelle e sorriso da pubblicità, sorvola su tutto questo e agli studenti delle scuole superiori di Sondrio dice che “iniziative ci sono, non vedo in loro la voglia di cogliere queste opportunità perché da un lato non c’è una situazione di bisogno oppure non c’è l’ambizione a fare certe cose”. I giovani stanno bene a casa mentre “è meglio fare una vita in cui hai interessi e fai cose che fare una vita in cui sei in vacanza tutto il tempo”. Chissà cosa risponderebbero dalla loro comoda vacanza i 7,3 milioni di italiani che il lavoro, e con esso la fonte del loro sostentamento, oggi non ce l’hanno. Forse che la crisi è un’invenzione, anche se dal 2007 il Pil totale, sempre secondo Confindustria, è diminuito del 9,1%, il reddito procapite è tornato ai valori del 1996 e la produzione industriale ai livelli del 1986.

CHI ODIA I GIOVANI
John Elkann, principe ereditario di Fiat, ha 37 anni. E vive nel Paese più vecchio d’Europa, dopo la Germania: il tasso di natalità è di 1,4 bambini per donna e i nuovi nati, secondo l’Istat, dal 2008 al 2012 sono 54 mila in meno su un totale di mezzo milione all’anno. Tutto ciò ha fatto salire l’indice di vecchiaia al 147,2%: cioè ci sono 147,2 ultrasessantacinquenni per ogni 100 ragazzi con meno di 15 anni. È il Paese della gerontocrazia – anche se l’età media degli ultimi segretari di partito eletti potrebbe migliorare un po’ la situazione. Non è un Paese per giovani.

LA FIERA DEGLI SFOTTO’ GIOVANILI
A inaugurare la stagione dei simpatici sfottò con il suo lapidario “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”, fu l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Stava presentando le misure contenute in Finanziaria che riservavano agli under 30 agevolazioni sugli affitti – detrazioni tra i 495 e i 991 euro circa, in base al reddito, in tre anni! Che sarebbero dovuti bastare a convincere i ragazzi “ad andare fuori casa, sposarsi, rendersi autonomi”. Era il 2007 e, a sua discolpa, la grande crisi che dal fallimento di Lehman in poi ha sconvolto il mondo, esisteva solo negli incubi degli apocalittici.

MONTI DI PRESUNZIONE
Poi venne il primo governo Monti, il più denso di professoroni e il più prolifico di misure non risolutive: “Un’austerità fine a se stessa”, secondo Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria: “Quando si è insediato il governo Monti il rapporto debito/pil era al 117% adesso siamo a 127 e le proiezioni di quest’anno ci portano almeno 132”.

E il più prolifico anche di consigli non richiesti a chi cercava di costruirsi un futuro o di non perdere il passato. Gennaio 2012, Michel Martone (il figlio di Antonio Martone, avvocato generale in Cassazione, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati), scende dalla sua cattedra di ordinario di Diritto privato conquistata a 29 anni e dallo scranno alla destra di Elsa Fornero sostiene: “E’ ora di dare ai nostri giovani messaggi chiari, tipo: se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato”. Pioggia di insulti. Arringa della difesa: attenzione, non avevo incluso gli studenti lavoratori, quelli con problemi di salute o quelli provenienti da famiglie con problemi economici. Ma ormai la frittata è fatta.

PAROLE MINISTERIALI
Febbraio, entra nel vivo la discussione sulla riforma del lavoro. Ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri: “Gli italiani sono fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”. Un anno e mezzo dopo, a fare da mamma a Giulia Ligresti, una detenuta come un’altra, ci ha pensato lei. La sua collega ministro del Lavoro Elsa Fornero, le diede man forte definendo “un’illusione il posto fisso”, però al presidente dell’Inps Antonio Mastropasqua, con cui si rimpallava la questione esodati, ne spettavano 25, di posti fissi. Mentre il premier Mario Monti con sorriso beffardo demonizzava la “monotonia” di un lavoro sicuro. Poi venne ottobre e Fornero, ancora lei, la ministra che non riusciva a pronunciare la parola “sacrifici” perché la voce le si rompeva nel pianto, disse: “Non bisogna mai essere troppo choosy (schizzinosi, ndr), meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale”.

SCHIZZINOSI, MAMMONI E…
Il giorno dopo corsa alle giustificazioni: “Non ho mai detto che i giovani sono choosy”, solo che non devono esserlo. Cioè devono esserlo ancora meno dato che, Rapporto Annuale 2013 dell’Istat alla mano, “la percentuale di giovani sovraistruiti – cioè con un livello di istruzione più elevato rispetto a quello mediamente richiesto nel lavoro svolto – ha registrato una forte crescita tra gli occupati con diploma, raggiungendo il valore del 58,4 per cento nel 2012 (8 punti in più rispetto al 2008)”. Per i laureati il trend è in miglioramento, ma i sovraistruiti sono comunque il 44,8%.

LA FISSAZIONE DEL RAPPORTO FISSO
E poi ancora con questa storia del posto fisso, come se non si fossero accorti che “l’incidenza di occupazioni atipiche, aumentata incessantemente, è cresciuta tra il 2008 e il 2012 di 8 punti percentuali per i diplomati e di poco meno di 4,5 per i laureati”, si legge nel rapporto. E ancora: “è aumentata in generale la quota di occupati in part time involontario che nel 2012 coinvolge nove diplomati su dieci e oltre otto laureati su dieci. Infine, oltre un terzo degli occupati tra i 15 e i 29 anni ha un lavoro temporaneo contro un valore medio pari a 12,3 per cento”.

CHI EMIGRA E DOVE
E vabbè, saranno almeno attaccati al gonnellone di mammà? Neanche per sogno. Secondo l’associazione ITalents (www.Italents.org) “l’emigrazione italiana è aumentata del 115% nel periodo 2002 – 2012, e la maggioranza dei nuovi emigrati sono giovani (54%)”. Combinando dati Istat con quelli del registro Aire, l’anagrafe dei residenti italiani all’estero, ITalents calcola che i 18/24enni ad aver oltrepassato il confine sono 350mila; 600mila quelli tra 25 e 34 anni e 650mila gli emigrati tra i 35 e i 40: 1,6 milioni. E la stima è per difetto.

VIAGGIO TRA I NEET
Ma il lavoro c’è, sono loro che non lo vogliono. I Neet (Not in employment, education or training), cioè giovani 15-24enni che non lavorano e non studiano, sono 1,41 milioni al terzo trimestre del 2013, il 23,3% del totale. Ma se l’età si estende a 35 anni, il numero tocca la spaventosa dimensione di 3,75 milioni. La disoccupazione prolungata, secondo il Programma italiano sulla Garanzia per i giovani , ”crea danni irreversibili a livello dei singoli individui, perché pregiudica le prospettive dell’intero ciclo di vita, e per l’intera collettività, per la quale una generazione perduta vuol dire basso potenziale di crescita ed enormi costi di welfare”.

Dalle Torri eburnee la visibilità sui drammi sociali è limitata o assente. Ma forse sarebbe opportuno che Lor Signori si munissero di cannocchiale, prima di suggerire sbadatamente di dare al popolo brioche in luogo del pane.


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