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Doppio melodramma al Teatro dell’Opera per “Manon Lescaut”

L’attesa prima di Manon Lescaut di Giacomo Puccini ha avuto luogo la sera del 27 febbraio, alla presenza del Capo dello Stato, in un clima di “doppio melodramma”. Manon Lescaut (dalla cui prima esecuzione ricorrono poco più che 120 anni) è il superamento del “melodramma verdiano” e la prima prova del “dramma in musica” pucciniano, tanto personale da non avere in Italia emuli (se non si considera tale Giancarlo Menotti) mentre ne ha avuti numerosi (ed ancora attivi) negli Stati Uniti ed in Europa centrale ed orientale. Tuttavia, l’atmosfera è stata da melodramma sia dentro che soprattutto fuori il Teatro. Dentro perché solo poche ore prima della rappresentazione, gli spettatori – ogni ordine di posti era gremito – , gli spettatori hanno appreso che si sarebbe alzato il sipario. Formiche ha dedicato tre articoli alla crisi del settore.

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LA FONDAZIONE LIRICA ROMANA

Tra le fondazioni liriche, quella di Roma pare avere il record dei guai. Il nuovo Consiglio d’Amministrazione ha chiesto sostegno in base alla “legge Bray” che comporta una seria ristrutturazione. Parte delle numerosissime sigle sindacali presenti nella fondazione si sono opposte, con conferenze stampa contrapposte (ed accuse di ogni genere) sino alla mattina della andata in scena. Nonché la minaccia di Riccardo Muti di andarsene da Roma e del Sindaco Marino (il quale gestisce un’amministrazione comunale sull’orlo dell’insolvenza) di mettere in liquidazione l’ente, come già proposta una quindicina di anni fa anche da musicisti del calibro di Goffredo Petrassi e Franco Mannino. Di fronte al Tutti a Casa , che i “duri e puri” (di cui alcuni con precedenti giudiziari) hanno fatto marcia indietro. Tutto ciò rileva perché è in questo clima che si sono svolte le prove – con la protagonista usa a San Pietroburgo, New York, Londra e Salisburgo, letteralmente sconvolta.

UN PASSO IMPORTANTE

E’ stata una prima importante perché dopo oltre un lustro il Teatro dell’Opera di Roma ha riproposto il primo grande successo di Giacomo Puccini , in un’edizione con Riccardo Muti sul podio, sua figlia Chiara nella cabina di regia, e Anna Netrebko (per la prima volta sul palcoscenico della capitale) nel ruolo di protagonista e Eyvazov (ammirato a Ravenna lo scorso novembre nel ruolo di Otello) come suo deuteragonista.
Da quando il primo febbraio 1893 venne messa in scena, Manon Lescaut è una delle opere più rappresentate del compositore lucchese. Chiude l’epoca in cui dominava il melodramma verdiano e anticipa il Novecento storico, il cui inizio (in Italia) viene convenzionalmente legato alla prima di Tosca a Roma il 14 gennaio 1900. Quali i tratti salienti da ricordare in occasione dell’allestimento che sarà a Roma dal 27 febbraio all’8 marzo?

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CARATTERISTICHE DELL’ALLESTIMENTO ROMANO

In primo luogo, è errato (come ancora fanno molti) considerarla, sotto il profilo drammaturgico, l’interpretazione più fedele del romanzo L’Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abbate Antoine- François Prévost. Il romanzo, in gran misura autobiografico, è un capolavoro della ‘letteratura libertina’ imperniato sul protagonista maschile, mostrato come un gaglioffo, sempre corrotto (oltre che corruttore), assassino, baro al gioco, avvezzo ad andare a prostitute ed a prostituire anche la propria donna. Nulla di simile al tenero giovincello innamorato di Jules Massenet o allo studente sensuale e passionale di Puccini. In effetti– occorre aspettare il 1950 (o giù di lì) perché con il Boulevard Solitude di Hans Werner Henze si ritrovino – trasportati nella Francia della prostituzione e della droga degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale – i personaggi ed il clima di Prévost. L’Abbate aveva intenzioni moralistiche e senso di colpa tanto che nel romanzo eros e sesso non venivano vissuti in modo gioioso. Puccini (e la vera e propria squadra di librettisti che lavorarono con lui) leggono l’intreccio come una vicenda erotica e passione. Qui l’importante novità: con Manot Lescaut torna prepotentemente in scena l’eros (“desparicido” nel melodramma verdiano), proprio in quella Torino che non più capitale del Regno era alla ricerca della propria identità ed aveva, tutto sommato, un’anima bigotta e per conto di quel giovane Puccini, allora libertario (ed anche libertino) ma che in età matura avrebbe preso la tessera No. 2 del Partito Nazionale Fascista.

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In secondo luogo, l’eros è nella scrittura orchestrale e vocale più che nel libretto. Come in La Favorite il personaggio maggiormente avvinto dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introduce una vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria, puntando tutto la zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità sensuale. Nell’Ottocento, questa era stata una caratteristica di alcuni tenori wagneriani (Siegfried nell’opera eponima, Walter von Stolzing ne I maestri cantori) . Con il Des Grieux di Manon Lescaut si apre la strada, in Italia, ai personaggi costruiti sulla sensualità virile – si pensi a quelli concepiti per Enrico Caruso. Più sfumato l’eros della protagonista che, per esplodere, necessita del grande duetto del secondo atto. La parte è scritta per un soprano lirico puro e tale è stata interpretata sino agli Anni Sessanta (si pensi a come il ruolo veniva cantato da Clara Petrella e da Virginia Zeani); nel 1984, Giuseppe Sinopoli scelte un soprano lirico puro (Mirella Freni) . In tempi più recenti, in gran misura in seguito alla interpretazione di Maria Callas della coloratura da lei data all’aria del secondo atto (In quelle trine morbide), oltre che dal colore bruno da lei dato al duetto sempre del secondo atto (Tu , amore? Tu?) e al finale “Sola, perduta, abbandonata), si è favorita una tinta a volte più scura, sino al soprano drammatico di agilità – è stato per lustri il ruolo preferito da Renata Scotto al Metropolitan. Ricordo, nella seconda metà degli Anna Settanta, Renata Scotto dirmi che preferiva il personaggio di Puccini a quello di Massenet perché era più passionale; all’epoca la Signora Scotto (sempre una grande dame non utilizzava il termine eros ma era ciò che intendeva. Ancorato in gran misurata al baritono verdiano è Lescaut. E tale il basso brillante Geronte de Ravoir.

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In terzo luogo, la funzione dell’orchestrazione. In Manon Lescaut , l’orchestra non è essenzialmente di supporto al canto (ed all’azione scenica) come nel melodramma verdiano. Ha assorbito, in parte, la lezione wagneriana del sinfonismo continuo nel golfo mistico. Quindi, l’organico si è ampliato ed arricchito e ci sono momenti (l’intermezzo) in cui la ‘musica a programma’, ossia il poema sinfonico, vengono inclusi nel gioco scenico. Inizia quel processo di orchestrazione opulenta (ed impervia) in cui la partitura è frastagliata e frammentata ma si ricompone di continuo in nuove unità – un processo che avrà, in Puccini, in suo apogeo in La Fanciulla del West ma a cui stava lavorando in una piccola città provinciale di Moravia (priva di un vero e proprio teatro , nonché di una sala da concerto) Léos Janaceck.

L’ESECUZIONE MUSICALE

Andiamo all’esecuzione musicale. Puccini ed il Novecento non sono gli autori ed il periodo e gli autori in cui da il meglio di sé Riccardo Muti, verdiano e legato alla ‘scuola napoletana’ con buone incursioni nella ‘tragedie lyrique’ ma discutibili letture wagneriane e mozartiane. Del lucchese – che io sappia- ha concertato solo Manon Lescaut alla Scala un quarto di secolo fa e Tosca a Filadelfia. Ha dato , tuttavia, un’ottima interpretazione della partitura specialmente delle varie tinte (la ‘giocosità’ giovanile del primo atto, la sensualità del secondo, e la marcia incalzante verso la tragedia del terzo e quarto). Ha primeggiato nell’intermezzo. Anna Netrebko è grande cantante e grande attrice; le si è spessita la voce da quando interpretava Lisa in La Dama di Picche a San Pietroburgo e sta maturando verso un soprano wagneriano (la prossima tappa potrebbe essere Lohengrin) . E’ la vera gemma di questa esecuzione con momenti memorabili come In quelle trine morbide e Sola perduta abbandonata. Il giovane e robusto tenore algerino, Yusif Eyvazov non è all’altezza della Netrebko, anche se pochi mesi fa è stato un decoroso Otello a Ravenna. Non gli manca affatto la voce , ma eccede nel registro acuto – ingolandosi in Donna non vidi mai al primo atto – invece di ancorarsi al registro di centro; lo su avverte specialmente nel duetto del secondo atto Tu, tu amore tu dove dovrebbe esplodere di eros almeno tanto quanto la sua partner. Giorgio Caoduro è un apprezzabile, ma non eccelso Lescaut. Ottimo invece Carlo Lepore nel ruolo di Geronte . Bravi i numerosi caratteristi.

E la regia? Ne parlerò su una testata specialistica. Ma verrò presto dimenticata.



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