Matteo Renzi non è ancora a Palazzo Chigi e siamo già al totoministri. La figura più importante ormai non è più il titolare degli Interni o degli Esteri, ma il commander in chief dell’Economia e, visto che il balletto dei nomi è destinato a durare lo spazio di un mattino, scegliamo un altro gioco, quello dell’identikit.
Il professor Gustavo Piga ha già aperto la strada quando ha detto che non ci vuole un difensore, ma un attaccante. Ha ragione. A difendere ci pensa già Mario Draghi. Il catenaccio del tre per cento, per quanto possa non piacere e persino fare del male, è impenetrabile. Lo stopper tedesco marca strettissimo. E il presidente della Banca centrale europea ha scelto un ruolo di libero alla Beckenbauer, rassicurante costruttore, senza rinunciare a giocate alla brasiliana.
(LA DISFIDA TRA RENZI E LETTA VISTA CON L’ALBUM FOTOGRAFICO DI PIZZI)
Comunque, in Italia è impossibile nominare un ministro del Tesoro senza un più o meno esplicito viatico dell’Eurotower. Chiamiamola pure sovranità limitata e ammettiamo di esserci abituati (il Vaticano, gli Stati Uniti durante la guerra fredda, quanti hanno messo bocca sulla formazione di governi e sulle elezioni di presidenti della Repubblica italiana?), ma tant’è. In questo momento non possiamo farci niente. Quando il debito sarà sotto il cento per cento del pil, vedremo.
Dunque, se la difesa la fanno a Francoforte, qui dobbiamo passare all’attacco. Ma, per restare alla metafora calcistica, un centravanti di sfondamento sarebbe velleitario e isolato come Balotelli nel Milan. Dunque, è meglio un fantasista alla Baggio o, meglio ancora, alla Totti con qualche anno in meno.
In concreto, ciò significa che ci vuole un ministro che lasci il ruolo di cane da guardia delle cifre all’intendenza (va di lusso con un Ragioniere fresco di Banca d’Italia e un direttore generale che viene dalla Banca Mondiale) e si metta a lavorare su un progetto credibile per la crescita. Lanci idee, programmi, apra discussioni, coinvolga le menti più brillanti della teoria e della prassi (abbiamo gente che ha conquistato con i propri meriti cattedre a Londra, a Harvard o a Chicago), occupi i talk show televisivi non con vecchi arnesi del litigio continuo, ma con freschi protagonisti dell’Italia che resiste, renda pubblici fatti e cifre, affinché il popolo tanto evocato si eserciti non sul cazzeggio nullista, ma sulle cose che si possono fare.
Un discorso sul metodo? Non solo. Un modo per sfuggire alla responsabilità di identificare una persona in carne ed ossa? Non proprio. A chi dice “fuori i nomi”, ebbene si può rispondere che, se vogliamo restare in un ambito tecnico, molti di quelli che circolano hanno il pedigree giusto, dal “centrista” Lorenzo Bini Smaghi al “dalemiano” Pier Carlo Padoan, entrambi con una lunga esperienza internazionale alle spalle.
C’è un altro asso che potrebbe uscire dalla manica al momento opportuno: Lucrezia Reichlin. Non solo perché è una donna (dopo Janet Yellen il soffitto di vetro s’è infranto), non solo perché conosce bene dati e uomini della Bce nel cui ufficio studi ha lavorato a lungo, e non solo perché la Banca d’Inghilterra potrebbe “rubarcela” nominandola addirittura numero due, bensì per quello che ha scritto e ha fatto.
Altrimenti, si scelga un politico che sa di conti, ma ancor più di uomini. Dunque, il problema resta sempre lo stesso: in via XX Settembre ci vuole un ministro che indossi la maglia numero dieci, non quella numero nove, tanto meno la numero quattro.
Stefano Cingolani