Ieri, nel discorso al Senato che Renzi ha tenuto, c’era un assente. Il Mezzogiorno, per la prima volta, non è stato menzionato nel piano del Governo quale priorità programmatica. Una cosa che ha sorpreso la Lega Nord e il Gal, chiamiamoli antitetici, cosi come ogni buon meridionalista. Da uomo del Sud avrei potuto scrivervi tutto quello che è mancato nei programmi dei governi e la fiducia ormai persa dei suoi concittadini verso lo Stato e i politici locali. I problemi reali del Mezzogiorno li conoscono tutti ormai.
Invece, ho pensato che la vera novità del discorso a braccio di Renzi non fosse la sua sicurezza e la visione del programma, utopico per alcuni, ma l’aver unito politicamente l’Italia, senza differenze e distinzioni, senza ipocrisie e divisioni territoriali, senza parole.
Finalmente, dopo 150 anni e passa, un Primo ministro non fa proclami al Meridione.
Le ragioni potrebbero essere molteplici ma sostanzialmente una è la verità: la crisi economica ha fatto emergere tutta la debolezza strutturale della visione economica su cui si sono retti lo sviluppo economico e la tattica politica nazionale dei partiti storici.
Infatti, solo le imprese e i sistemi produttivi export led riescono a sopravvivere, chi viveva di domanda interna, tranne le GDO competitive forse, ha dovuto o chiudere o riorganizzarsi strutturalmente. Neanche le spinte economiche delle infrastrutture hanno potuto reggere le compensazioni che i sistemi bancari e finanziari hanno sempre riservato all’Italia centrale e del nord. Il Paese si è ripiegato su se stesso, dolente, unito.
In cosa si potrebbe unire dal punto di vista programmatico il Paese? Potremmo partire dalle emergenze. I dissesti idrogeologici riguardano tutta la penisola, chiediamo uniformità nella distribuzione delle risorse e nella valutazione dei rischi ambientali.
Parliamo delle infrastrutture, laddove i sistemi portuali e la rete dei trasporti locali sono stati abbandonati a se stessi, sia dal Cipe che da Ferrovie dello Stato. Chiediamo in tutta Italia che si dia priorità economica alle infrastrutture che riducano il gap strutturale economico nel territorio nazionale e riducano i costi dei trasporti delle merci.
L’intermodalità portuale con la rete ferroviaria europea sia integrata con coerenza e strategicità d’intenti sull’asse Mediterraneo- Europa e non solo su prossimità di confine. È per questo che lo sviluppo portuale del Mezzogiorno, sia commerciale sia turistico, unisce esigenze economiche, lavorative e interdipendenti del sistema Italia.
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non aver aperto la competizione nei sistemi di trasporto locale o interregionale. Una visione in tal senso potrebbe portare all’introduzione di soggetti privati nel mercato delle reti ferroviarie regionali e all’integrazione dei partner privati nelle municipalizzate. Il rafforzamento del concetto imprenditoriale rispetto alla loro gestione politica, all’apertura verso i servizi co-sharing e alle cooperative di servizi di trasporto interprovinciale a fermata con minibus o van.
Il problema dei rifiuti e della loro trasformazione in materie prime secondarie potrebbe ravvisarsi quale risorsa e opportunità invece della criticità ambientale e della minaccia sanitaria. Dichiarando la sua strategicità nazionale, si dovrebbero bypassare le regioni che non sono state capaci di creare sistemi efficienti e produttivi che tolgono risorse al mercato delle materie prime secondarie, come gas e fertilizzanti naturali, derivati della plastica e carta, rilanciando le industrie dell’indotto e integrando i servizi ai cittadini.
La gestione dei rifiuti speciali e delle terre dei fuochi si affronta in un solo modo: con la creazione del deposito nazionale in capo a Sogin, rinviato dagli avvicendamenti politici degli ultimi due anni e dai condizionamenti locali sui siti idonei individuati dai tecnici.
Caro Renzi, partendo dalle emergenze potrà finalmente dire che è Mezzogiorno, Italia.