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Il 27 gennaio Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) ha dato il suo via libera alla candidatura del Feldmaresciallo Abdel Fattah al-Sisi per le elezioni presidenziali di primavera, dopo che il militare, in ottemperanza alla Costituzione, aveva presentato nei giorni scorsi le proprie dimissioni dalle cariche di ministro della Difesa e di capo di Stato maggiore.
In un comunicato stampa, lo SCAF ha spiegato il placet come un segno della “fiducia del popolo in al-Sisi” e come tale “è una richiesta che va accolta come libera scelta della popolazione”.
Secondo il quotidiano filogovernativo al-Ahram, i vertici militari hanno pensato di sostituire al-Sisi con Sedki Sobhi nella doppia carica a capo dell’Esercito e del Ministero della Difesa. Se al-Sisi confermerà la propria candidatura dovrà vedersela contro il nasseriano Hamdeen Sabahi e contro Ziad Bahaa al-Din, vice Premier dimissionario che ha duramente criticato l’esecutivo per la repressione messa in atto contro i Fratelli Musulmani e per aver speculato sul rischio terrorismo al fine di varare alcune leggi, a suo dire, “liberticide” come quella sul diritto di manifestazione.
Nello stesso giorno in cui è stata annunciata l’investitura di al-Sisi sono arrivate le notizie di un attentato contro una chiesa copta al Cairo e quella dell’omicidio di Mohammed Saeed, generale in servizio al ministero dell’Interno, ucciso da un commando armato sconosciuto, sempre nella capitale.
Proprio sul campo della sicurezza il governo sta giocando tutta la sua credibilità, rivendicando un’azione di polizia dura contro le violenze e gli attacchi islamisti. I gruppi filo-qaedisti di Ansar Jerusalem e Ansar Beyt al-Maqdis si insinuano infatti con sempre maggior forza, allargando le loro violenze dal Sinai a tutto il Paese attraverso attacchi contro i militari e contro i simboli del potere.
Gli ultimi attentati di una lunga serie sono quelli dei jihadisti contro la città israeliana di Eilat – dove il lancio di un razzo è stato intercettato e distrutto dal sistema anti-missile Iron Dome – e contro una base militare egiziana nel Sinai. Intanto l’Arabia Saudita torna in soccorso dell’Egitto, annunciando un finanziamento supplementare da quattro miliardi di dollari in prestiti bancari e in aiuti nel settore dell’energia, utili a dar fiato alle disastrate casse del Cairo e ad esercitare evidentemente una sempre maggiore influenza non solo nel futuro del Paese nordafricano, ma anche nel complessivo quadro della regione mediorientale.