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Il garantismo scomparso dalla cultura giuridica

In tempo di bislacchismo giudiziario, con giudici che commentano per primi le loro sentenze per giustificare gli errori formali e sostanziali commessi in un processo; con pm che pretendono di difendere la causa dello Stato mettendo sotto accusa i maggiori rappresentanti della Repubblica e ne intercettano le telefonate; con una giustizia troppo spesso usata come clava per bastonare capi dell’opposizione come fossero delinquenti della peggior specie; e con giornalisti sistematicamente schierati a rendersi portavoce di inquirenti che hanno bisogno di comparire in prima pagina per sentirsi vivi e potenti, si può ben comprendere come l’Italia, in tema di giustizia, sia messa proprio male. Tanto da risultare negli ultimi posti delle classifiche internazionali concernenti il gradimento della amministrazione della giustizia anche rispetto a Paesi che, di pandette, capiscono ancora molto poco nell’emisfero meridionale della Terra.

Benvenuto, dunque, un agile volumetto, introdotto da Giuliano Ferrara, noto provocatore garantista che non si fa sfuggire mai l’occasione per mettere alla gogna professionisti della maggiore arretratezza culturale occupanti abusivamente posizioni di potere pubblico scaduto a pessimo propagandismo politico. Ferrara accoglie la proposta del poliedrico Guido Vitiello (docente napoletano insegnante alla Sapienza di Roma e collaboratore di periodici prestigiosi) di collezionare cinque succose convinzioni di illustri garantisti (lo stesso Vitiello; Mauro Mellini, avvocato, già parlamentare radicale e componente del Csm; Domenico Mirafioti, avvocato e scrittore di argomenti giuridici; Corrado Carnevale, che fu il più giovane presidente di sezione della Corte di Cassazione, massacrato da una persecuzione mediatico-giudiziaria promossa dal partito delle manette sempre e comunque; e Giuseppe Di Federico, professore emerito di ordinamento giudiziario, già componente del Csm), allestendo un libricino: Non giudicate. Conversazioni con i cinque veterani del garantismo, Liberilibri, Macerata.

Nel volumetto, cultura primigenia, diritti dell’umanità, esempi di malagiustizia si alternano lasciando nel lettore la sensazione di avere ascoltato, quasi in diretta, cinque formidabili lezioni di storia della giustizia in Italia e di diritto penale e di procedura penale viste dalla parte delle vittime. Cioè degli imputati che, anche allorché riescono, dopo anni di tribolazioni e carcerazioni crudeli, ad essere riconosciuti innocenti, hanno nel frattempo perso i migliori anni della loro vita.

Non giudicate è un inno alla libertà, più che una denuncia esplicita di alcune malefatte dell’ingiustizia italiana. Contiene riferimenti classici di pensatori moderni che per primi hanno cercato di scardinare l’assolutismo giudiziario e la violenza di pochi, diventati potenti per concorso, e magari avendo risposto ad una serie di quiz di questionari simili a quelli adottati nelle selezioni attitudinali delle reclute del mondo militare. Soprattutto, ogni riflessione degli autori – sarà un caso: ma tutti meridionali di nascita e formazione – costituisce motivo di meditazione sulla arretratezza culturale di cui sono intrisi dalle nostre parti inquirenti e giudicanti.

 

 



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