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Il tramonto del Corriere della Repubblica

Che succede al Corriere della Sera? La domanda non è troppo oziosa e solo per giornalisti.

Il quotidiano di via Solferino, per chi ha avuto tempo e voglia di leggerlo negli ultimi anni, ha assecondato, auspicato e suggerito la defenestrazione del governo Berlusconi da Palazzo Chigi nel 2011. Beninteso, come ricorda oggi su Repubblica il ministro Gaetano Quagliariello, a consigliare Berlusconi di sloggiare dalla presidenza del Consiglio fu anche il suo amico e socio in affari Ennio Doris per evitare che la valanga mediatica e finanziaria dello spread travolgesse Piazza Affari, l’economia e pure le aziende della galassia berlusconiana.

Ciò detto, in quel periodo, le prime pagine del Corriere della Sera grondavano di analisi e commenti su quanto fosse insufficiente la politica del rigore (pur indispensabile) attribuita solo e soltanto all’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti; e su quanto fosse auspicabile una frustata pro crescita, auspicata anche dal premier dell’epoca, Berlusconi, in antitesi con il flemmatico e scorbutico Tremonti. Una linea, quella del quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli, che si rifletteva nei pensosi e sulfurei commenti vergati dall’editorialista-principe del Corriere, Mario Monti.

Il professore bocconiano, di fatto, divenne agli occhi dei più il punto di riferimento di un’area editoriale, finanziaria e politica che vedeva in lui una delle personalità preminenti per dare uno sbocco tecnico, terzo e autorevole allo sgarrupato governo Berlusconi. D’altronde anche una parte del mondo berlusconiano attribuiva un ruolo potenziale di riserva della Repubblica a Monti, ben considerato in funzione di un’uscita morbida e tecnocratica dal berlusconismo senza sconfessare troppo Berlusconi: una linea che i lettori affezionati del Foglio diretto da Giuliano Ferrara ricorderanno. Non è un caso, poi, che – nonostante gastriti politiche di vasti settori del Pdl – Berlusconi diede il via libera al governo Monti per responsabilità nazionale.

Non è finita: anche dopo le elezioni scorse, e il tentativo grillineggiante di Pierluigi Bersani, il Corriere della Sera non ha esitato a caldeggiare una soluzione chiara di larghe intese per superare lo stallo. Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri, nell’agosto 2011 già sentenziava: “Monti è il miglior candidato alla premiership. Lo sceglierebbero anche i marziani” (ecco il video).

Ricapitolando, per farla breve: il Corriere della Sera ha condiviso, apprezzato, plaudito e festeggiato tutte – proprio tutte – le decisioni del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Decisioni ora sbeffeggiate con le amplificate e rilanciate anticipazioni del libro della Rizzoli (casa editrice del Corriere della Sera; una sana auto pubblicità non guasta, anzi) scritto da Alan Friedman, che ieri sera era davvero poco british nel corso della trasmissione Piazza Pulita su La 7 condotta da Corrado Formigli.

C’è chi avanza l’interpretazione secondo cui tutto questo tam-tam mediatico, che ha prodotto una lettera di Napolitano con cui ha scudisciato il “brillante pubblicistaFriedman e il Corriere della Sera per anni, di fatto, Corriere del Quirinale, ha come fine neanche tanto recondito quello di favorire e agevolare la definitiva ascesa politica e governativa di Matteo Renzi e azzoppare il capo dello Stato.

Dietrologie? Forse. Di sicuro il caso divampato ieri – che ci ha fatto guadagnare nel mondo un titolo sbeffeggiante del Financial Times “The Italian Job” dalla chiara connotazione delinquenziale – dovrebbe far riflettere la (moribonda) categoria dei giornalisti, compresi i brillanti pubblicisti…


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