Appena terminato di adagiare la quarta di copertina sull’ultima pagina del libro di Fulvio Abbate “Intanto anche Dicembre è passato”, rimango come colui che si trova di fronte al cilindro del prestigiatore. Da cui abbiamo visto uscire di tutto per la nostra meraviglia.
Già, perché nel passare da una pagina all’altra è tutto un comparire di personaggi, di oggetti, di luoghi. Ora veri, ora fantastici. Lo srotolarsi di fotogrammi dove la realtà romanzata, sulle mappe di un catasto fantastico, che, in Italia, sono poi le uniche mappe catastali aggiornate, si incrocia con la storia in cui lettori giovani e meno giovani possono ritrovarsi, o possono semplicemente ritrovare la propria madelaine. Vero e fantastico, questo romanzo è intriso dell’infanzia dell’autore. E il suo sguardo bambino, funzionale per la costruzione del racconto, diventa la lente della cinepresa da cui Fulvio Abbate regista di sé stesso, ormai adulto, sta guardando a quegli anni. E’ Fulvio stesso bambino che dice: “da grande voglio fare il bambino”.
Ecco i due piani su cui poggia la costruzione di questo bel libro. Libro, che andrebbe regalato ai giovani adolescenti perché invita a leggere e a fantasticare. Perché dimostra come la fantasia non è altro che la distorsione dell’immagine della realtà sulla retina dove la chimica del cervello regola e decide quale deve essere il precipitato. Due sono i precipitati eccellenti: Zio Hitler. Già proprio lui il Furher. Inquilino di casa Abbate a Palermo. Con cui il giovane Fulvio andava al cinema.
E poi Ettore Majorana, il giovane e brillante fisico di origine catanese scomparso nel 1938 e del quale, attraverso il racconto di Fulvio Abbate, oggi sappiamo di più. Glia anni in cui alloggiava nell’appartamento del nonno di Fulvio e dava lezioni private di matematica al giovane Fulvio che di aritmetica non ne voleva manco di calata.
I componenti della famiglia anagrafica di Fulvio, assieme con gli improbabili compagni di viaggio che la fantasia ha preso in prestito dalla storia, si muovono tra facce e fatti e cose, una vera e proprio iconografia che ritrovate in sintesi nella splendida copertina del libro, e che rappresentano il mosaico in cui si compongono le inclinazioni di Fulvio. Inclinazione che tanto devono all’influenza della mamma Gemma. A lei sono dedicate le pagine più intime e più dolci del libro. La lingua di Fulvio Abbate in questo libro è piena di garbo. I lettori sono invogliati a proseguire dalle morbide anse delle parole e, nondimeno, dalla vivida capacità che quelle stesse parole hanno di spingere chi legge a fantasticare.
E’ Gemma a far innamorare Fulvio di Parigi. E’ Gemma a portare, in Via Cesare Abba, a Palermo, i libri di Albert Camus, e tanti altri libri della Gallimard. Muovendosi essa stessa tra il vero e il fantastico, suscita nel giovane Fulvio una continua curiosità e un ardente desiderio di vedere Parigi. E così questo viaggio da Palermo a Parigi diventa molto di più di una vacanza. Diventa la metafora di un percorso di conoscenza che porta dal passato al futuro. E non si può compiere un viaggio così importante se non a bordo di un mezzo di trasporto altrettanto importante. Ci voleva proprio un razzo come quello che Majorana, sotto le mentite spoglie di un abito da Suora cucito dalla zia di Fulvio a mezzo Singer con tanto di colpi di pedale, stava costruendo sul terrazzino.
Quel razzo, il tappeto magico del giovane Fulvio, era il risultato della fantasia applicata alla scienza. Il mezzo più adatto per volare lontano dall’angustia della prosaicità della realtà, di quelle quotidiane abitudini fatte della parte peggiore della saggezza popolare, quando deriva in chiusura, in grettezza, ignoranza.
E Fulvio Abbate che, da palermitano, ha dovuto imparare a conoscere quel tipo di grettezza, trova il modo migliore con cui si poteva sintetizzare: “SUCA”.
Già la scritta più diffusa in Sicilia. Nei vespasiani, sui muri delle case, nei parcheggi, nei bagni della scuola, ovunque a Palermo e più in generale in Sicilia è tutto un “SUCA”. “L’orgoglio del complessato che si fa suscettibilità, l’allusione sessuale che poi, in realtà, è soltanto un modo per chiudere alla dialettica, al pensiero, alla filosofia”. Quella realtà brutta di tante periferie che, senza fantasia, rischiamo di abitare.
Fulvio Abbate – Intanto anche Dicembre è passato – Baldini&Castoldi