Con la pubblicazione di queste informazioni, l’Eba ha l’obiettivo di dare maggiore visibilità ai mercati sulle reali condizioni del sistema bancario, contribuendo così a ridurre l’incertezza in vista dei risultati dell’asset quality review e degli stress test che saranno resi noti solo nell’ultima parte dell’anno in corso.
Nel seguito dell’articolo si presentano le principali evidenze sulle banche italiane del campione Eba a confronto con le altre banche europee.
Il primo dato portato all’attenzione dall’Eba è il rafforzamento patrimoniale avvenuto in due anni e mezzo, tra le precedenti rilevazioni del 31 dicembre 2011 e il dato più aggiornato del 30 giugno 2013. In questo arco temporale il core tier 1 ratio medio del campione di oltre 60 banche europee è salito di 1.7 punti percentuali a 11.7%. I 5 maggiori gruppi italiani si collocano generalmente a un livello inferiore rispetto al valore medio europeo in entrambi gli anni, tuttavia a giugno 2013 il divario si è considerevolmente ridotto rispetto a fine 2011.
La seconda evidenza riguarda i driver del rafforzamento patrimoniale, ottenuto da un effetto combinato di incremento del 7.3% del patrimonio core e di riduzione dell’8.4% delle attività ponderate per il rischio. Per i 5 maggiori gruppi italiani c’è stato il contributo positivo della riduzione delle attività ponderate per il rischio, in alcuni casi con intensità anche molto maggiore rispetto alla media europea, mentre l’incremento del patrimonio core è avvenuto solo per Unicredit. Se per Banco Popolare e Ubi il passaggio ai modelli interni avanzati avvenuto nel 2012 ha contribuito sensibilmente alla riduzione delle attività ponderate per il rischio, nel caso di Intesa, Unicredit e Monte Paschi, il cui passaggio era avvenuto gradualmente dal 2008, la riduzione dei risk weighted asset rispetto alla fine del 2011 è frutto di un’effettiva azione di contenimento del valore complessivo delle esposizioni e di riduzione del rischio ad esse correlato. Le maggiori banche europee, al pari di Intesa e Unicredit, valorizzavano parte del portafoglio crediti con metodi interni avanzati già dal 2008 e negli anni successivi ne hanno gradualmente esteso la copertura.
Dalla composizione dei risk weighted asset per tipologia di rischio emerge che il maggior contributo proviene dal rischio di credito (80%), seguito dal rischio operativo (11%) e di mercato (6%). Le banche italiane, per le quali come è noto pesa di più l’attività di intermediazione creditizia e di conseguenza sono esposte a un maggiore assorbimento patrimoniale, presentano valori dell’rwa relativi al rischio di credito superiori all’80% (compreso Mps se non tenessimo conto del valore del transitional floor). Ubi Banca si distingue per la più elevata incidenza del rischio di credito sul totale delle attività ponderate (89%), dovuta anche a un’esposizione molto ridotta al rischio di mercato (1%) e a una più contenuta incidenza del rischio operativo (8%).
Riguardo agli approcci regolamentari usati per misurare i requisiti patrimoniali, per due terzi delle esposizioni totali delle banche europee analizzate si utilizzano modelli interni prevalentemente advanced (il 57% del totale rispetto a solo l’11% del foundation) e per il restante terzo delle esposizioni viene applicato il metodo standardizzato. Le 5 maggiori banche italiane confermano la netta prevalenza dell’utilizzo di modelli interni avanzati, sempre superiori alla metà delle esposizioni al rischio, fino a toccare il 65% per il Banco Popolare, mentre è praticamente assente l’utilizzo dell’approccio foundation-irb.
Il documento Eba fornisce anche informazioni dettagliate sul valore delle esposizioni al rischio in caso di insolvenza (Ead) e delle corrispondenti attività ponderate per il rischio, scomponendole per controparte, per modelli regolamentari utilizzati (interni o standardizzato) e per status della posizione (deteriorata o in bonis).
Considerando la scomposizione per controparte dell’Ead, per la media delle banche europee l’esposizione maggiore è nei confronti della clientela retail (28%), seguita dal corporate (27%), mentre l’esposizione nei confronti delle piccole e medie imprese (Sme) è nettamente inferiore (10%). Per contro le 5 maggiori banche italiane si contraddistinguono per un’elevata incidenza delle esposizioni proprio verso la categoria delle piccole e medie imprese che in alcuni casi raggiunge quote elevate (Banco Popolare ha il 41% e Monte Paschi il 32%).
Infine, guardando ai tassi di default delle esposizioni al rischio (misurati sul valore complessivo e sul valore delle esposizioni verso le controparti retail, corporate e Sme, Fig. 6), si segnala che il tasso di default per la media delle banche europee sul totale è del 3.5% a fine 2012 (3.8% al 30 giugno 2013) e che la controparte con il tasso di default più elevato è rappresentata dalle Sme (11.3%), a seguire coporate (5.0%) e retail (3.2%).
Le 5 maggiori banche italiane hanno tassi di default superiori alla media europea: almeno doppi per Intesa, Unicredit e Ubi, ancora più alti per Monte Paschi e Banco Popolare. Il divario è riscontrabile in tutte le controparti analizzate, ma è particolarmente alto nel segmento delle Sme, dove le banche italiane toccano tassi di default superiori al 20% rispetto a una media europea dell’11.3%. Nel confrontare i tassi di default delle banche italiane con quelle degli altri paesi europei, è importante ricordare che esistono sostanziali differenze tra paesi in merito alla disclosure (rispetto alle segnalazioni di vigilanza) e ai criteri di classificazione dei non performing loans. Sotto entrambi questi aspetti la banche italiane devono sottostare a criteri più restrittivi che spiegano in parte un più alto tasso di default.
Per concludere, le cinque maggiori banche italiane non sono molto diverse dalle altre per quanto riguarda il rafforzamento del capitale negli ultimi due anni. Anche se si guarda alle attività ponderate per il rischio, alla loro composizione e alla tipologia di modelli regolamentari utilizzati per il calcolo dei requisiti patrimoniali non si riscontrano molte differenze. Le banche italiane mostrano invece una maggiore diversità dalle banche europee per la dinamica del patrimonio, che per molte delle italiane si è ridotto, per la composizione delle esposizioni al rischio, molto più esposte verso le Sme, e per i tassi di default, molto più elevati sia come totale che per ciascuna delle principali controparti di clientela (retail, corporate e Sme).
In sintesi, i dati Eba confermano molte delle cose che già conoscevamo e di cui abbiamo scritto nei nostri Rapporti. Nonostante lo sforzo di rafforzamento patrimoniale realizzato nell’ultimo anno e mezzo dalle maggiori banche italiane, il loro modello di business, orientato all’attività di intermediazione creditizia, ha richiesto, e continuerà a richiedere, uno sforzo maggiore di molte delle concorrenti europee per mantenere ratio patrimoniali adeguati. A questo si deve aggiungere che il tessuto economico del paese, con una forte prevalenza di piccole e medie imprese, rende le banche italiane molto più esposte al segmento di clientela delle Sme di quanto avviene per le banche europee con degli effetti chiaramente negativi sui tassi di default.