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La Bce celebra il divorzio fra banche e stati

Ma quant’è grigio e miserabile il nostro tempo, se un evento storico come il divorzio fra le banche e i loro stati finisce nelle brevi di economia e viene declinato in un astruso comunicato della Banca centrale europea senza neanche la fatica di un atto normativo? Almeno il divorzio fra banche centrali e stati europei ha avuto un briciolo di dignità storica. Di questo invece non rimarrà nessuna traccia.

Ma quanto siamo diventati piccoli se neanche capiamo quello che di grande succede e lo confiniamo nella piatta prospettiva del presente?

Mi faccio queste domande inutili e anche vagamente depressive mentre leggo i giornali e tutto quello che riesco a trovare sul web sulla questione della prima release dell’asset quality review pubblicata lunedì 3 febbraio dalla Bce, dopo che l’Eba aveva spianato il terreno la settimana prima. E l’unica cose che hanno in comune, queste cronache copiaeincolla, è un malcelato senso di scampato pericolo che potremmo sintetizzare più o meno così: gli stress test saranno una cosa seria, e verranno stressati anche i bond sovrani, come peraltro era stato ampiamente annunciato. Qualche piccola banca nostrana avrà dei problemi, magari ci sarà qualche fusione o una ricapitalizzazione, ma i grandi campioni nazionali possono stare tranquilli. Il sistema bancario nazionale, insomma, è salvo. E giù sospiri di sollievo.

Poi vedremo se è così. Ma intanto mi chiedo, spero non da solo: possibile che nessuno si interroghi su quello che faranno le banche dal 2015 in poi?

Mi spiego meglio. Come abbiamo visto, l’AQR si svolgerà sui bilanci bancari europei chiusi al 31 dicembre 2013. Su di essi si faranno gli esercizi immaginati dagli stress test i cui risultati saranno pubblicati a fine ottobre 2014. Potete immaginare da soli con quanti patemi d’animo la finanza bancaria europea aspetterà che cadano le foglie quest’anno.

Poi magari non succederà chissà che. Già si brinda allo scampato pericolo. Ma non è questo il punto. Fatevi una semplice domanda: se voi foste Banca Intesa o Unicredit, comprereste ancora bond sovrani italiani dopo aver scampato gli stress test, ben sapendo che sono solo il prologo della supervisione bancaria vera e proprio che andrà in scena nel 2015?

Se si arriverà, come ormai sembra assai probabile, a quotare il rischio dei bond sovrani (come peraltro sembra preludere lo stress test), nessuna banca avrà più interesse a detenere bond nostrani. Dovrebbe accantonare nuovo capitale. E pure se, grazie alla generosità del governo, i campioni nazionali hanno potuto incassare una ricca plusvalenza da Bankitalia, che di sicuro compenserà gli eventuali deficit di capitalizzazione che dovessero trovarsi con gli stress test, ciò non vuol dire che potranno continuare a largheggiare comprando a go go titoli di stato. Sarebbero perfetti incoscienti in un mondo dove vigilano l’occhiuta Bce e agisce la temibile market discipline.

Questo spiega bene perché parlo di divorzio fra banche e stati dove risiedono, specie se Piigs. Ma tutti sono talmente preoccupati di eventuali ricapitalizzazioni delle banche che neanche ci pensano. Tantomeno ci pensa il governo, che magari crede di incoraggiare altri investitori a comprare il nostro debito pubblico. Gli arabi, magari: i famosi 500 milioni appena spuntati agli Emirati dal primo ministro italiano. O i cinesi. Le banche italiane sicuramente no: si metteranno a dieta.

Questo nella migliore delle ipotesi.

Nella peggiore, l’autunno del 2014 potrebbe riservare un brutto regalo alle banche italiane. Potrebbero essere chiamate a raggranellare qualche miliardo per raggiungere i livelli di capitale richiesto dalla Bce. Vediamo perché.

La Bce ha fissato un livello del CET1 (Common equity tier 1) all’8% che può arrivare al 5,5% nel caso di scenario avverso degli stress test. Fra gli asset potranno essere ricompresi “gli strumenti patrimoniali aggiuntivi che obbligatoriamente si convertono in CET1, purché il coefficiente di attivazione della conversione sia pari o superiore al 5,5%. Saranno ammissibili soltanto strumenti con clausole contrattuali incondizionate in relazione a tale conversione”. In pratica potranno servire a integrare il CET1 anche eventuali obbligazioni subordinate convertibili.

Dulcis in fundo, ecco le regole che si applicheranno ai bond sovrani: “Le esposizioni al debito sovrano nei portafogli detenuti fino a scadenza saranno trattate alla stregua di altre esposizioni creditizie incluse nel medesimo portafoglio, ossia si calcolerà l’impatto degli scenari sui parametri di perdita e insolvenza, che darà luogo a un aumento degli accantonamenti. Nel contempo, le stesse tipologie di titoli nei portafogli disponibili per la vendita e detenuti a fini di negoziazione saranno valutate ai prezzi di mercato, in linea con lo scenario considerato”.

Traduco. Abbiamo già incontrato, guardacaso parlando del caso Bankitalia, le regole di classificazione che valgono per AfS, ossia attività detenute fino a scadenza, e HtF, attività detenute per negoziazione, quindi non mi ripeto. Ricordo solo che le prime, per decisione di Bankitalia, sono escluse dal capitale di vigilanza, sul quale si esercita l’AQR della Bce, al contrario degli attivi HfT che compongono tale capitale.

Con la decisione della Bce adesso sappiamo che i bond sovrani classificati fra gli AfS verranno trattati come un qualunque altro asset. Ergo, si richiederà per loro un accantonamento di capitale. Ciò vuol dire sostanzialmente che l’obbligazione di uno stato sovrano, per la Bce, ai fini dello stress test ha lo stesso peso di una qualunque obbligazione privata: anche per gli stati vale il rischio di controparte. Quindi possono fallire.

La vulgata dice, ma lo vedremo solo quando la Bce renderà noto il risultato dei test, che le banche italiane tengono gran parte dei loro titoli di Stato nel comparto AfS.

Quanto ai bond sovrani classificati fra gli attivi HtF, essi verranno valutati al mark to market. Un improssivo aumento dei tassi d’interesse, drammaticamente probabile in periodo di tapering, provocherebbe quindi robuste perdite in conto capitale che potrebbero essere scontate al momento in cui verrà pubblicato l’esito degli stress test. In questo caso si metterebbe all’opera la market discipline. Se gli onnipotenti mercati sapessero che una certa banca è gonfia di attivi sovrani, che ai tassi del momento implicano una perdita mark to market, si può facilmente immaginare come reagirebbero.

Insomma, malgrado i buoni auspici del governatore Visco, che anche di recente ha dichiarato di non essere particolarmente preoccupato per le banche italiane, la verità è che nessuno ha la palla di vetro. E anche le protezioni messe in campo dal sistema nel suo complesso per difendere le nostre banche (dalle quote di Bankitalia alle norme di vigilanza che consentono di sterilizzare gli effetti delle minusvalenze sugli AfS) non è detto che funzionino.

Una cosa è certa però: dal 2015 le banche ci pensaranno due volte prima di comprare il “famigerato” debito italiano.

Per allora il divorzio sarà consumato.



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