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La distruzione durevole dei consumi italiani (ed europei)

Bisogna pur dirlo che il 2013 è stato un anno orribile per le importazioni italiane. Se davvero si voleva distruggere la domanda interna, come è stato detto e scritto, la missione può dirsi compiuta. Non si dica perciò che i nostri governanti sono inetti. O almeno, non completamente.

Il crollo dei consumi, della quale il -5,5% registrato dal saldo delle importazioni nel 2013 è una delle tante cartine tornasole, è per giunta il sintomo di un malessere profondo e minacciosamente permanente, guidato com’è dalle materie prime, dai beni durevoli, che nel periodo gennaio-dicembre 2013 sono crollati del 7,9% rispetto allo stesso arco di tempo del 2012, e dai beni strumentali, in calo del 2,8%. Tutta roba che ha a che fare molto con la produzione e con la voglia di fare investimenti.

La voce energia, poi, è crollata del 15,6%. La qualcosa è di sicuro una buona notizia per la nostra bolletta, che comunque rimane di tutto riguardo, ma rivela una volta di più il nostro debito di attività.

Gli unici beni importati in crescita sono quelli non durevoli. Il che mi fa pensare a un consumo schiacciato sul presente, senza prospettiva che non sia il suo immediato e finito soddisfacimento. Compriamo magari una bottiglia di vino francese, invece di un macchinario tedesco, e ci beviamo su aspettando tempi migliori. O, per dirla con i numeri dell’Istat, aumenta la domanda di importazioni di articoli in pelle (+16,% a dicembre 2013) ma crolla quella di macchinari elettrici (-13,2). E considerate che il dato congiunturale di dicembre ha registrato un corposo aumento di importazioni (+3,6%).

Per giunta leggo che nel corso del 2013 le nostre esportazioni sono rimaste stabili (-0,1%), per non dire negative. Laddove questo saldo è ciò che residua dalla differenza fra le aumentate esportazioni nella zona extra Ue (+1,3%) e il calo sofferto nei paesi Ue (-1,2%).

Dal che viene facile dedurre che è l’insieme dei consumi europei ad essere durevolmente bloccato, non soltanto quello italiano. E non solo per colpa dei Piigs. Sono anche i paesi ricchi che strozzano i loro consumi interni, malgrado gli abbondanti surplus commerciali.

Per avere una visione d’insieme, inoltre, è utile osservare i flussi con l’estero a far data dal dicembre 2011. La curva delle esportazioni risulta sostanzialmente piatta, intorno ai 32 miliardi nel corso del triennio. Quella delle importazione cala invece costantemente: dai 32 miliardi del 2011 ai 30 circa di dicembre 2013.

Tale circostanza legittima un’altra deduzione. Se la nostra crescita del prodotto interno dovrà basarsi molto sull’export, come prevede la nota vulgata mercantilista del nostro tempo, ed essendo le esportazioni, anche a causa del cambio fisso all’interno e della sua onerosità all’esterno, alquanto rigide, a meno di improbabili rilancio delle domande interne di qualcun altro, l’unico modo per avere un export crescente passerà per un’ulteriore contrazione delle importazioni. Leggi: ulteriore distruzione dei consumi.

Lo dicono i numeri. Nel corso dell’anno, scrive l’Istat l’avanzo commerciale “raggiunge i 30,4 miliardi di euro al netto dei prodotti energetici” senza i quali sarebbe stato di 85 miliardi. Quindi delle due l’una: o contraiamo la bolletta energetica, e sarebbe bello sapere come, o il resto delle importazioni. Il rilancio delle esportazioni extra eurozona con un euro che costa sempre più caro all’estero è alquanto problematica. Mentre all’interno dell’eurozona, come abbiamo visto, prevale la contrazione degli scambi.

Se la bolletta energetica confermerà la sua rigidità, perciò, per salvare il nostro avanzo commerciale (e il nostro Pil) non potremo che continuare, durevolmente, a distruggere i nostri consumi interni.

Salvo tornare all’autarchia.

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