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La tregua fallita in Sud Sudan

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale.

Il cessate il fuoco in Sud Sudan, siglato ad Addis Abeba il 23 gennaio scorso tra le forze governative fedeli al Presidente Salva Kiir e i ribelli sostenitori dell’ex vice Presidente Riek Machar, è già finito. Il portavoce militare del Sud-Sudan, Philip Aguer, ha confermato che nuovi combattimenti sono scoppiati all’alba di martedì 18 febbraio, nello Stato di Upper Nile.

Gli scontri sono iniziati nei pressi della base ONU a Malakal, causando la morte di 10 persone, e si sono propagati anche all’interno della struttura di accoglimento tra persone appartenenti a diverse etnie che qui hanno trovato rifugio dalla guerra. I ribelli hanno dichiarato, in seguito, di essere entrati in possesso della parte nordorientale della città, anche se non ci sono conferme da parte delle autorità governative.

Malakal è una importante città strategica: si trova infatti a circa 140 chilometri da un complesso petrolifero in cui è situato un importante impianto per il trattamento del greggio, mentre lo Stato di Upper Nile è l’unico a continuare a garantire l’estrazione di greggio dopo che la produzione nella vicina Bentiu è stata sospesa a causa del conflitto.

Mentre la situazione degenera, continuano i contatti tra le due fazioni in lotta, ma le ambizioni personali dei due leader (entrambi mirano alla presidenza del Paese) rappresentano l’ostacolo principale alla conclusione positiva delle trattative. Inoltre, resta ancora irrisolto il problema di quattro oppositori del governo, arrestati nei primi giorni della rivolta, tuttora imprigionati nelle carceri di Juba: il Ministro degli Esteri Barnaba Marial Benjamin ha affermato che il governo non è intenzionato a rilasciarli fino a quando il processo a loro carico non sarà concluso.

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