Il processo di watering down (“annacquamento”) in corso, che riguarda tutti gli ambiti da quello strettamente culturale e morale, fino a quello politico, ha in sé tuttavia degli elementi positivi che possono mettere in moto una reazione costruttiva. L’ariete ambisce a diventare leader – non sappiamo ancora se per via di staffetta o per via elettorale – ma l’esercizio delle (future?) funzioni dovrà produrre sul campo i risultati che l’establishment o gli elettori gli chiederanno. Quali risultati, ancora non lo sappiamo.
Come hanno efficacemente sottolineato Michele Arnese e Fabrizia Argano su Formiche.net, “lo scalpitante segretario del Pd realizzerà finalmente il suo sogno. Le manfrine secondo le quali il sogno era un incubo dei non renziani si sono rivelate per quello che erano: manfrine. La realtà dimostra che l’ambizione personale è quasi sempre ciò che guida un politico, incluso Renzi”. Già, l’ambizione.
Sulla relazione tra l’ambizione e i) la consapevolezza di quelle che sono le priorità del Paese, unitamente alla ii) capacità di porre in essere e coordinare un’azione di governo efficace, potrebbe però passarvi in mezzo un torrente, e nemmeno troppo stretto. Il governo di questo Paese appare infatti sempre più lontano da questo Paese, e le funzioni rimaste in capo ad esso sono sempre più residuali.
Su questa residualità, molti (Lega, M5S, Fratelli d’Italia) recriminano per la migliore e maggiore valorizzazione delle proprie prerogative, oppure per recuperare la sovranità perduta e riportare all’ordine del giorno temi e istanze molto sentiti dall’elettorato (immigrazione controllata, maggior sicurezza, meritocrazia, fino a misure estreme come uscita dall’Euro etc.).
Non dimentichiamoci che quello che doveva essere un governo “salvifico” come il Governo Monti, ha approvato una legge, il Fiscal Compact, che nella sostanza – e con forti dubbi di costituzionalità sollevati da esperti – ha introdotto un accordo di diritto internazionale tra Stati, che non avrebbe per l’Unione Europea forza di diritto pari a quella dei precedenti trattati. Come sottolineato dal Prof. Giuseppe Guarino, questa soluzione è stata usata come uno stratagemma per aggirare il fatto che non avevano la possibilità di riformare il Trattato dell’Unione Europea, vista l’opposizione di Gran Bretagna e Repubblica Ceca. Grazie al Fiscal Compact, viene ceduta ulteriore sovranità a Bruxelles che controlla di fatto moneta, fisco, credito: l’UE vuole azzerare il debito pubblico della maggior parte degli Stati Membri e per chi come l’Italia ha un debito superiore al 60% del PIL, firmando l’accordo non potrà avviare piani di sviluppo a sostegno del lavoro e qualsiasi forma di riduzione delle tasse ma potrà, anzi dovrà, attuare tagli alle imprese.
Tutti i problemi strutturali restano dunque invariati, se non addirittura sono peggiorati. Nulla si sta facendo per definire una strategia di crescita del PIL, unica soluzione ai problemi di stabilità di bilancio, come sottolineato da diversi e inascoltati economisti. L’ariete di tutto ha parlato, ma non mi risulta che si sia mai soffermato su questo. Ambizione d’accordo, ma consapevolezza e capacità? La reazione “generazionale” al processo di rottamazione come si presenta oggi, può e deve muoversi sui binari anzitutto del metodo: la complessità dei problemi attuali non può essere affrontata con il solo coraggio sfacciato dell’ambizione, per due motivi: 1) facile “manovrabilità” dall’esterno; 2) nei risultati, rischio di generare una situazione ancor peggiore e irreversibile.
Prima che l’ariete diventi leader, pensiamoci.