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Lettera aperta a Napolitano

Signor Presidente,

nelle consultazioni che apre oggi per affidare l’incarico per un nuovo esecutivo, mi preme sottolineare l’importanza straordinaria del lavoro. Il tema del mercato del lavoro, in tanti anni,  e delle sue possibili modifiche, è stato vittima di faziose estremizzazioni ideologiche su molte questioni, anche marginali, che hanno prodotto un paralizzante immobilismo, come per esempio quello che è avvenuto sull’articolo 18. E nessuno come i giuslavoristi ed altri modesti ma competenti colleghi e colleghe ha subito i colpi di coda del terrorismo barbaro e miope, come dimostrano gli assassini di Marco Biagi e di Massimo D’Antona.

Ma è proprio dai “professionisti” – che devono arrivare e non sono mancate –  le migliori e più approfondite analisi sul tema, con l’elaborazione di riforme immediatamente applicabili. Ciò che è mancata, invece, è la volontà politica. I “tecnici” (categoria con la quale non amo essere chiamata) non hanno fatto “il Titanic”, come dice Renzi esaltando per contrapposizione i dilettanti. Piuttosto è stato altro a farci ballare sul Titanic: l’immobilismo e la vacuità della politica – che ha impedito le grandi riforme, ma non la stratificazione di norme complesse e confuse – un sistema formativo senza nessuna sintonia con le imprese (solo in Italia ci sono 65 mila posizioni vacanti fra gli under 35 per assenza di profili adeguati e molte donne disoccupate e in cerca di lavoro), la politicizzazione di una parte del sindacato e la più grave recessione della storia della Repubblica non curata per tempo.

È stato tutto questo, di concerto, a produrre  una crescente mancanza di lavoro e un sistema che sta andando a fondo, con la disoccupazione giovanile oltre il 40%, quella totale al 12,3%, raddoppiata rispetto al 2006 e stimata in crescita nei prossimi anni, senza dimenticare i quasi 3 milioni di precari e altre 4 milioni di persone uomini e donne “scoraggiate”, che non studiano, non lavorano, né cercano di fare alcunché. Renzi, fra le sue tante accelerazioni, sul tema ha presentato il “JobActs”, e la sottoscritta umilmente nella sua versione mediata con altre proposte, ha  indicato anche ciò che Renzi ha espresso durante le primarie, cioè di utilizzare il “Codice semplificato del lavoro”, redatto da Ichino, con simulazioni e analisi talmente discusse che lo studio oggi può definirsi “chiavi in mano”.

Sicuramente c’è la necessità di spingere su proposte di forte impatto mediatico, come spostare la tassazione dal lavoro alle rendite finanziarie e diminuire del 10% il costo dell’energia per le piccole e medie imprese, ma il nodo centrale della questione è che sul “JobsAct” il punto non è tecnico, ma politico. Bisogna capire se il piano per il lavoro serva a produrre qualcosa di concreto che manca da troppo tempo. Perché ci vuole davvero grande coraggio politico per una seria riforma del lavoro. Bisogna andare a dire alle lavoratrici e ai lavoratori ipertutelati che non possono campare a spese dei e delle giovani precari, che le tutele si devono prevedere per la persona ma non per il posto di lavoro. Bisogna spiegare alle ai cassaintegrati, che aspettano anni (magari nel frattempo lavorando in nero) una miracolosa rinascita della loro azienda, che debbono fare corsi di aggiornamento che servono però e reinventarsi.

Bisogna sostenere chiaramente la necessità di una redistribuzione più equa degli ammortizzatori sociali, tirando una riga sopra a privilegi che si ritenevano acquisiti. E bisogna spingere sulla contrattazione aziendale e decentrata anche in deroga, sostenendo la flessibilità legata alla produttività e alla conciliazione tempi di vita e di lavoro anche per avere più donne al lavoro, indebolendo il potere contrattuale dei sindacati confederali e la forza necessaria di staccarsi dalla Cgil, il più grande stopper delle riforme relative al lavoro inserendo le proposte dentro la cornice di una nuova e coraggiosa politica economica, capace di superare le arretratezze e le pigrizie della sinistra e le incongruenze della destra. Le regole del mercato del lavoro – che da sole non bastano a battere la recessione, ma aiutano – fanno parte integrante della politica economica del Paese.

Bisogna dunque, con il JOB ACTS, non ignorare tutti i competenti suggerimenti dei “professionisti e delle professioniste”, finora disattesi dalla cattiva politica. Dobbiamo raccogliere il consenso necessario a dare benzina al motore della volontà politica.

Noi ci siamo e ci saremo.



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