In Italia gli ultimi dati Istat mostrano un lieve rallentamento nella fase di peggioramento del mercato del lavoro: a dicembre il tasso di disoccupazione si è attestato al 12,7% (dal 12,8% di novembre), un valore comunque molto più elevato di quello di inizio anno (11,8%). Il dato più rilevante è comunque rappresentato dalla discesa dell’occupazione, che anche a dicembre è proseguita con la perdita di 30mila posti di lavoro rispetto a novembre.
Il confronto tra il III trimestre del 2008 e il III del 2013 suggerisce, anche per l’Italia, considerazioni interessanti sia in termini di composizione per età che per titolo di studio delle posizioni lavorative perse. In questo periodo, al calo di 1,13 milioni di posti di lavoro complessivi hanno contribuito soprattutto i cosiddetti “giovani adulti” (25-34enni), con oltre 1,7 milioni di posizioni lavorative perse e i 15-24enni (con 509mila unità perse). Al contrario, si osserva un aumento sia degli occupati 40-59 anni (+857mila unità), sia dei 60-64enni (+261mila) unità. Anche nel nostro Paese a essere penalizzate sono state le posizioni lavorative occupate da persone con un livello di istruzione molto basso: 1,5 milioni, più del calo complessivo. Nel caso degli occupati in possesso di diploma di scuola media superiore il calo si è limitato a 173mila unità, mentre sono aumentate le posizioni lavorative occupate da laureati.
Secondo alcune stime, nel nostro Paese il calo dell’occupazione sarebbe stato maggiore in assenza della forte contrazione nel numero di ore lavorate per occupato.
Secondo i dati Eurostat nel complesso dell’economia nel III trimestre del 2013 il numero di ore lavorate è sceso del 6,3% rispetto allo stesso trimestre del 2008, in particolare nel manifatturiero (-15,2%) e nelle costruzioni (-22,4%). La riduzione del numero di ore lavorate si deve a un minore ricorso al lavoro straordinario o allo smaltimento delle ferie pregresse, ma soprattutto all’aumento del part time involontario, che nello stesso periodo è risultato in crescita. Sebbene positivo, questo fenomeno rischia tuttavia di generare uno stock eccessivo di lavoratori in difficoltà (i cosiddetti
working poor) che percepiscono un reddito troppo basso e che mascherano una fetta consistente di sostanziale disoccupazione (si veda su questo punto il Rapporto CNEL 2013). Un ruolo importante nel limitare il calo dell’occupazione è stato poi svolto dalla Cig.
Le difficoltà presenti sul mercato del lavoro in Italia, soprattutto per i giovani, hanno acceso il dibattito sull’opportunità di una riforma che privilegi i contratti aziendali, percorrendo in parte la strada recentemente intrapresa dalla Spagna. Come da più parti rilevato (CNEL, ILO), tuttavia, l’andamento del mercato del lavoro non dipende solo da rigidità endogene, ma è inevitabilmente influenzato dalla profonda crisi che ha caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi anni. Politiche del lavoro e politiche per la crescita dovrebbero pertanto essere viste come complementari l’una all’altra, piuttosto che alternative o sostitutive.
L’Italia nel III trimestre del 2013 è uscita da una recessione lunga 9 trimestri, la seconda in 6 anni. Durante questi anni la flessione Pil è stata del 9% circa. Nello stesso periodo la produzione industriale è scesa del 25% circa. In alcuni settori i livelli produttivi sono calati di oltre il 40%. Rispetto a questi dati, quelli relativi al mercato del lavoro, seppure negativi, appaiono meno drammatici, eppure il dibattito recente si è concentrato spesso più sul funzionamento del mercato del lavoro che su problemi di crescita.
Il Cnel stima che, per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovrebbe essere superiore al 2% l’anno, un obiettivo che alle condizioni attuali appare estremamente difficile da raggiungere. Insieme a modifiche che regolano gli assetti del mercato del lavoro sarebbe quindi necessario agire con decisione dal lato della crescita.