Chi viene rottamato, specie in chi non è aduso a maramaldeggiare, suscita sempre un moto di compassione e apprezzamento. E i tempi e i modi con cui Enrico Letta è stato rottamato dal Rottamatore di certo non sono troppo degni di un partito come il Pd che vanta, secondo i più, di una classe dirigente competenze, appassionata e leale.
Ma il salutare vitalismo renziano ha fatto strame di una personalità politica e istituzionale che meritava un’uscita meno frettolosa e meno sparagnina in termini di elogi per come ha condotto un esecutivo in tempi in cui nessuno può ergersi a maestro, anche se i maestrini pullulano tra giornalisti e opinionisti. D’altronde, si sa, è più agevole parlare e scrivere che governare una nazione, amministrare un’azienda o gestire un ente.
E siccome quando nacque il governo Letta criticammo il mieloso, dunque falso, elogio con cui fu accolto dalla stragrande maggioranza dei media, e ci permettemmo di dissentire rispetto al coro mediatico vista la gravità del compito e dei troppi e troppo vaghi obiettivi enunciati dal premier Letta nel momento del suo insediamento, oggi ci permettiamo di rimarcare la sobrietà dell’uscita da Palazzo Chigi del presidente del Consiglio.
Ovviamente i risultati del lavoro del governo Letta potevano essere migliori e più ficcanti, ma non si può dire che l’impegno non sia stato profuso, come la passione e talvolta anche l’avventatezza di alcuni ministri. Non sono mancati episodi disdicevoli e traccheggiamenti elusivi, specie in politica economica e nei rapporti con l’Europa. In questi mesi li abbiamo stimmattizzati con nettezza e pure, a volte, con durezza.
Ma nel giorno delle dimissioni, a Enrico Letta vanno i saluti e la stima di Formiche.net.