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Papa Francesco e l’etica del dono

Nella sua prefazione a un libro del cardinale Gerhard Müller (pubblicata oggi sul Corriere della Sera), Papa Francesco invita l’uomo contemporaneo a riscoprire il gusto della gratuità, ossia il gusto di fare il bene per la semplice bellezza di farlo. Al feticismo del denaro, contro cui aveva speso parole splendide già nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (novembre 2013), egli contrappone quel rapporto originale e fecondo tra profitto e solidarietà, guadagno e dono, che il peccato tende costantemente a spezzare e  offuscare.

“Radix omnium malorum avaritia”, scriveva Paolo di Tarso alla Chiesa delle origini. L’avidità smodata del denaro, aggiungerà Max Weber due millenni dopo, non si identifica affatto col capitalismo e meno ancora col suo “spirito”, ma si trova “in all sorts and conditions of men”, in tutte le epoche di tutti i Paesi del mondo. Ma il grande sociologo tedesco non poteva immaginare che il capitalismo moderno, il quale per lui era caratterizzato proprio dal controllo razionale del sentimento universale della cupidigia, sarebbe regredito nelle forme primitive del capitalismo dell’avventura, della rapina e della pirateria finanziaria.

Beninteso, nel tempo presente non c’è più posto per la frugale etica calvinista dell’imprenditore weberiano. Lo stesso Keynes pensava che sul conto in banca si potessero sfogare in modo innocuo gli istinti più aggressivi dell’individuo. Del resto, negli affari – come in politica – non si governa coi pater noster. Ma, valorizzando la “stupefacente esperienza del dono” (come l’aveva definita il suo predecessore), Papa Francesco sembra voler dire che la “auri sacra fames” – senza un’etica che la disciplini – è destinata a dare torto alla “mano invisibile” di Adam Smith.

Ora, il Sommo pontefice ha certamente ragione quando sottolinea che la realtà della produzione e degli scambi non può essere estranea a qualsiasi valutazione di ordine morale (che abbia cioè un occhio rivolto al bene comune). Tuttavia, se è concessa una piccola digressione, quando in un Paese cattolico come l’Italia il settimo comandamento (“Non rubare”) mostra una così scarsa forza persuasiva, forse si pone un problema di non facile soluzione anche per il magistero della Chiesa.



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