La scorsa settimana ha ufficialmente preso il via la nuova campagna “Punto su di te” promossa dalla Fondazione Pubblicità Progresso e firmata da Young&Rubicam Group incentrata sul tema del gender mainstreaming. “Punto si di te” si pone come obiettivi invitare le donne ad accrescere la propria autostima, invitare gli uomini a valorizzare il punto di vista femminile, rendere visibile la discriminazione di genere, come primo passo per eliminarla e superare i pregiudizi nei confronti delle donne.
La campagna si snoda attraverso i canali di comunicazione classica: spot tv, radio, stampa, cinema e affissioni. E tutto rimanda al portale www.puntosudite.it, vera anima dell’iniziativa che permetterà di chiedere direttamente allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) la rimozione di campagne lesive dell’immagine della donna. È stato poi lanciato un contest tra gli autori Siae per una canzone sulla parità di genere e nel corso del tempo si susseguiranno iniziative di unconventional marketing.
Ma il lancio della campagna vera e propria è stato preceduto da una sorta di fase “teaser”, che (a ben vedere) si è dimostrata di dubbio gusto ed efficacia. Durante il mese di dicembre sono stati affissi una serie di manifesti che riproponevano l’immagine di una donna accompagnata da un fumetto con un messaggio da completare: “quando cammino per strada mi piacerebbe…”, “vorrei che mio marito…”, “dopo gli studi mi piacerebbe…”. La finalità di questa anticipazione della campagna era di riprendere con una telecamera nascosta eventuali reazioni dei passanti. Nell’arco di sole 48 ore gli spazi vuoti dopo i puntini di sospensione sono stati imbrattati con messaggi e scritte di indicibile volgarità (e non c’è bisogno di scatenare troppo la fantasia per capirne il tenore).
Alla luce di ciò, molti si sono stracciati le vesti sul fatto che l’esito di questa campagna dimostrasse in maniera lampante come la discriminazione e l’umiliazione della donna siano socialmente diffusi e che certi stereotipi di genere non siano ancora stati superati.
In linea di principio, la tesi secondo cui nel nostro Paese non ci si è liberati, per molti versi, di logiche sessiste e maschiliste è vera. Ma “stuzzicare” la gente su alcune delicate questioni di genere con dei manifesti, peraltro palesemente provocatori, non può essere né la spia né tantomeno “la prova del nove” che esista un conclamato problema discriminatorio. Un ragionamento del genere è troppo semplicistico e banale per poter essere accettato, tantopiù se si considera che di stupidi pronti a imbrattare con insulti, parolacce e oscenità varie qualsiasi superficie capiti a tiro ce n’è a volontà.
Bisognerebbe, piuttosto, prendere atto che alla base di atteggiamenti simili c’è innanzitutto una spiccata mancanza di senso civico e di rispetto per tutto ciò che ci circonda (persone e cose).
Temiamo, quindi, che l’“esperimento” di comunicazione sociale promosso dalla Fondazione Pubblicità Progresso non sia destinato a sortire effetti positivi. Questo perché sappiamo benissimo che se si istiga all’inciviltà, l’inciviltà non si fa attendere e provocazioni come quelle proposte da “Punto su di te” restano solitamente fini a se stesse.
Non si può, poi, trascurare un altro aspetto fallimentare della campagna. La donna viene presentata sempre nello stesso (e poco edificante) modo: come vittima e parte debole del sistema. Un’immagine che contribuisce solo ed esclusivamente a sottilineare un problema già sufficientemente evidente e che non è di per sé né costruttiva né tantomeno gratificante per il genere femminile.
di Alma Pantaleo