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Così la spending review di Cottarelli può rimettere in moto l’economia

Il 12 novembre 2013 il Commissario straordinario alla revisione della spesa (2013) ha
presentato, nei termini prescritti, il suo Programma di lavoro. Poche pagine dense di
obiettivi, metodi e scadenze. Poche pagine in cui si stagliano alcuni evidenti elementi
di novità.

Primo, la indicazione di nuovi e molto più ambiziosi obbiettivi di risparmio per il triennio 2015-2017: 3,6 miliardi di euro nel 2015, 8,3 miliardi di euro nel 2016, 11,3 miliardi di euro nel 2017 aggiuntivi rispetto ai 4,2 miliardi di euro già impliciti nel disegno di Legge di Stabilità, nonché una apertura a ulteriori revisioni in aumento degli stessi obiettivi.

Secondo, il passaggio da una “semplice” revisione funzionale ad una vera e propria revisione “strategica” attraverso la individuazione (e, presumibilmente, la successiva eliminazione) di programmi di spesa a bassa priorità.

Terzo, il coinvolgimento diretto dell’intera pubblica amministrazione nel processo di revisione della spesa.

Quarto, l’indicazione di una stringente tempistica nel 2014 (febbraio 2014: fase ricognitiva, aprile 2014: traduzione degli obbiettivi di risparmio nel Documento di Economia e Finanza e analisi dell’impatto macroeconomico degli stessi, luglio 2014:
traduzione normativa delle ipotesi di revisione della spesa con effetti distribuiti nel
corso della seconda metà del 2014 e nel triennio successivo) e, nuovamente, nel 2015
(replicando le scadenze già previste nel 2014).

Quinto, la previsione di una trasformazione del processo di revisione della spesa in una attività permanente della pubblica amministrazione da condurre ad intervalli regolari e la sua piena integrazione con le attività di redazione del bilancio dello Stato e degli Enti decentrati.

Ad una settimana di distanza, a valle della riunione del Comitato interministeriale per la revisione della spesa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha fatto proprie le valutazioni, anche quantitative, previste dal Programma di lavoro portando a 32 miliardi di euro l’obiettivo di risparmio nel triennio 2015-2017 (l’1,3% annuo ca. della spesa pubblica complessiva rispetto all’iniziale 0,2%). Nella conferenza stampa seguita al Consiglio dei Ministri del 21 novembre 2013, è stato poi il Presidente del Consiglio a dare il segnale di una piena assunzione di responsabilità da parte del governo: “Sulla spending review ci giochiamo molto del nostro lavoro”.

Certo, è difficile non domandarsi come la pratica della spending review possa convivere – sfidando le leggi della fisica – con un momento di perdurante se non crescente debolezza della classe politica italiana. E se ci si pone questa domanda è difficile non rifugiarsi nello “scetticismo della ragione” di Olli Rehn. Ma sarebbe sbagliato non vedere – meglio, non sforzarsi di voler vedere – i primi timidi segni di un atteggiamento diverso e di una diversa consapevolezza. Fermo restando che l’esperienza – come abbiamo visto – insegna ad essere prudenti se non proprio ad essere pessimisti.

L’Europa non ha registrato quel terremoto politico che molti – per non affrontare responsabilità interamente domestiche – auspicavano. C’è da esserne lieti. La strada che abbiamo davanti continua, dunque, ad essere una strada in cui cessioni progressive della sovranità costituiscono la condizione per graduali comuni assunzioni di responsabilità e viceversa. In cui – in altre parole – il rispetto puntuale delle regole comuni ed in particolare delle regole di bilancio non è un optional né tantomeno una imposizione ma è piuttosto parte integrante della costruzione europea.

Di questa strada, il processo di revisione della spesa costituisce una componente essenziale. Per le sue implicazioni macroeconomiche, da un lato, e, da queste settimane, per le sue implicazioni sulla credibilità del governo e del Paese. Quando il lettore di questo capitolo leggerà queste righe ne sapremo di più circa la capacità della classe politica italiana di essere all’altezza della sfida.

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