La cessione a pochi privati di patrimonio pubblico attraverso la rivalutazione delle quote di Banca Italia, continuiamo a pensare che non è stata una operazione corretta. Banca Italia afferma che quei 7,5 miliardi vanno a bancari privati per consolidare il patrimonio di B’I per far fronte ai crediti deteriorati.
Ma i crediti sono dovuti in gran parte da banchieri che non hanno né calcolato il rischio di impresa né hanno ammesso i loro sbagli mettendo a rischio e deterioramento il patrimonio appunto pubblico. Dunque c’è stato passaggio di patrimonio, in attesa di passare anche denaro liquido, con la negoziazione delle quote eccedenti il 3%. E’ chiaro a noi umili italiani che le banche, tutte, sono particolarmente tirchie con i loro clienti – che siamo noi cittadine e cittadini, risparmiatrici e risparmiatori – burocrati e barocche nella prestazione di servizi, incomprensibili nella offerta di sistemi e prodotti, molto attente ad elargire prestiti a chi investe in patrimonio magari personale, meno a chi investe in innovazione e rischio, e questo fa parte di una strategia di potere che ha portato danni gravissimi a gruppi bancari molto molto politicizzati.
Sicuramente le nostre banche sono mediamente messe meglio delle banche tedesche o francesi. I loro bilanci sono meno truccati perché la nostra vigilanza è stata più severa (con evidenti eccezioni ). Però sono sottopatrimonializzate, non c’è dubbio. E allora è certo che abbandonarle significa indebolirci in un momento in cui abbiamo bisogno di grande e forte competitività. Aiutare le banche può servire a spingere la ripresa ma bisogna “pulirle” dei banchieri pasticcioni e intrallazzoni per ridare invece crediti alle imprese e ai consumatori. Se usiamo soldi pubblici (come hanno fatto gli altri europei) si deve avere in mano o una partecipazione nella proprietà o un titolo di credito. Dunque le sofferenze nate dalla crisi è bene siano sostenute, ma distinguendole da quelle nate da interessi politici, personali, di gruppo o di sistema.
Il primo tipo di sofferenze, dovute a debitori che sono sani, ma in difficoltà, che intendono pagare, ma ora non possono, che torneranno a essere produttivi, ma oggi sono strangolati dal fisco e dalla recessione, è tale solo temporaneamente. Per sostenere queste sofferenze si può ben ricorrere a fondi specializzati, alimentati da una liquidità oggi abbondante, nei mercati internazionali. Si può anche immaginare una garanzia pubblica, sotto il controllo della Banca centrale europea. Sarebbe bene pensare a un intervento diretto della Bce, nella consapevolezza che dopo avere favorito (bene) gli aiuti ai debiti sovrani è saggio intervenire anche verso quelli produttivi. Senza sostenere i secondi e debiti produttivi, del resto, non c’è Stato che regga, e anche i debiti pubblici trarrebbero giovamento dall’argine contenitivo delle frane private.
Tutto, però, sempre con strumenti che creino e restituiscano ricchezza. Dunque noi non possiamo pensare di seppellire le colpe di alcuni stolti. Dunque diciamo no alla cosiddetta “banca cattiva” che è inutile alla collettività e dannosa per il mercato, perché perpetuerebbe la selezione dei peggiori.
Ma mettiamo in campo una analisi seria di cosa abbiamo imparato dalla crisi e quanto sia importante il presidio dei rischi nel sistema bancario,finanziario e industriale.
Le istituzioni che hanno meglio resistito durante la crisi sono risultate quelle che hanno saputo correttamente interpretare e utilizzare i risultati dei modelli di misurazione dei rischi e coinvolgere l’alta dirigenza nella definizione dell’appetito al rischio aziendale, nella valutazione complessiva dei rischi e nel controllo dei risultati raggiunti. Dunque analizzare bene le risposte e le soluzioni dei professionisti che hanno vissuto ‘sul campo’ la crisi, le principali evoluzioni nel risk management, i modelli adottati e adottabili, le sfide per il futuro. La capacità e tempestività al cambiamento è essenziale nell’affrontare le crisi, da cui solo le strutture più evolute, efficenti ed efficaci potranno emergere. E sapendo essere chiari con la gente in carne ed ossa.