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Turchia, tutte le riforme di Erdogan

Erdogan

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale.

Dopo l’approvazione della contestata legge sul controllo statale degli accessi ad internet, il governo di Recep Tayyip Erdoğan è riuscito a far passare, a maggioranza assoluta e tra aspre polemiche, la nuova riforma della Giustizia che mira a rafforzare il controllo dell’Esecutivo sulla magistratura.
Il voto in aula è stato preceduto da violenti tafferugli tra deputati della maggioranza e dei partiti d’opposizione. Il disegno di legge era stato congelato il 24 febbraio 2013 su pressione di Unione Europea e Stati Uniti che chiedevano una riforma meno restrittiva.

Secondo i socialdemocratici del CHP di Kemal Kılıçdaroğlu, il Consiglio Supremo dei giudici e dei procuratori (HSYK) – l’equivalente turco del CSM italiano –, l’Accademia della magistratura, e quindi l’intero sistema giudiziario verrebbero posti di fatto sotto l’autorità del Ministro della Giustizia, in violazione del principio di separazione dei poteri propri di uno Stato di diritto. Sempre secondo le opposizioni, la nuova legge mirerebbe ad insabbiare le inchieste aperte per corruzione contro diverse personalità politiche anche all’interno del governo a guida AKP e che già verso la fine del 2013 ha portato alle dimissioni di tre Ministri (rispettivamente il titolare degli Interni Muammer Güler, dell’Economia Zafer Çağlayan e dell’Ambiente Erdoğan Bayraktar) e che potrebbero coinvolgere addirittura Bilal Erdoğan, figlio imprenditore del Pre-mier in carica.

ONG e associazioni di giornalisti accusano apertamente il governo di voler nascondere gli scandali attraverso l’uso di norme liberticide. Dopo aver completato l’epurazione di forze ostili al governo nella polizia e nella magistratura, il rischio di una involuzione autoritaria dell’attuale leader islamista sarebbe dettato dall’aspro scontro di potere in corso con Fetullah Gülem, il potente imam un tempo alleato di Erdoğan che vive in esilio negli Stati Uniti e che il Premier accusa di essere il manovratore delle file della cosiddetta “Tangentopoli turca”.

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