Le più recenti circostanze ci inducono a rivolgerci a Voi, nel giorno in cui Vi incontrate per il Consiglio Supremo di Difesa, per rappresentare alcune riflessioni in merito al processo di razionalizzazione e contenimento dei costi della Difesa.
Scriviamo nei giorni in cui la crisi ucraina sta modificando gli assetti geopolitici post-guerra fredda. Emergono una serie di interrogativi e incognite, anche sul ruolo italiano di partner fondamentale nelle strutture intergovernative di difesa e sicurezza occidentali. La Nato e l’Unione europea saranno in grado di reagire, e in che modo, alle scelte della Russia? È presto per dirlo.
Tuttavia, se è vero che le Forze Armate – soprattutto nel nostro Paese – stanno assumendo un ruolo sempre più determinante nelle questioni di politica internazionale, allora è naturale chiedersi quale sarà l’identità dei nostri uomini in uniforme. In che veste e con quali risorse svolgeranno il loro compito? La fine della guerra fredda ha modificato il ruolo dell’Italia all’interno dell’Alleanza Atlantica, ma non ne ha mutato la posizione geografica. Eravamo una banchina proiettata nel Mediterraneo all’epoca dello scontro fra i blocchi, siamo tuttora una lingua di Europa dispiegata verso il Nord Africa e il Medio Oriente.
Le operazioni di peacekeeping cui l’Italia ha preso parte negli ultimi vent’anni si sono dimostrate un’occasione di confronto con i nostri partner atlantici e un’opportunità di miglioramento strutturale.
Afghanistan, Balcani, Iraq, Libano: i teatri in cui il soldato italiano è stato operativo si sono rivelati fondamentali nel farne un esempio, un “prodotto di eccellenza del Made in Italy”.
Appartengono alla memoria collettiva gli apprezzamenti a scena aperta espressi dal Generale Petraeus nei confronti dei nostri Carabinieri in Iraq durante la surge.
Come pure non è necessario soffermarsi sui successi ottenuti nel Libano del Sud e nella provincia afgana di Herat da parte delle nostre componenti Cimic (Civil Military Cooperation). Il comando di Motta di Livenza, direttamente collegato con l’Nrdc–It di Solbiate Olona, costituisce in questo campo un polo di elaborazione strategico e tattico. Saremmo falsamente modesti se nascondessimo la convinzione che il peacekeeping italiano è assurto a dottrina per tutta l’Alleanza atlantica. Sulla base di queste esperienze, oggi gli eserciti europei si trovano di fronte nuove sfide.
Il progetto Smart Defence con cui la Nato spinge alla razionalizzazione ed all’efficientamento delle forze armate dei paesi membri, insieme ad un probabile ridimensionamento dell’impegno statunitense in seno all’Alleanza, impongono all’Unione europea una dilatazione delle proprie competenze. L’impegno quasi esclusivo sull’economia dimostrato dal versante Ue di Bruxelles dovrebbe coinvolgere anche gli affari internazionali e giungere ad una politica comune di difesa e sicurezza. Ma il cammino è ancora lungo. Nel suo ultimo libro Turbolent and mighty continent, Anthony Giddens sostiene che, nell’ambito degli affari militari, l’Europa si sta muovendo verso «una combinazione tra l’incapace e il riluttante». La speranza è di confutare quanto prima il sociologo britannico.
Tuttavia, nella logica per cui ciascun Paese deve fare la propria parte, ci sentiamo di rivolgerVi una domanda: quale sarà il futuro delle Forze armate italiane?
I rumors sulla spending review e sui tagli ci spingono a sottolineare un paradosso: il Ministero della Difesa ha dato prova di eccellenza non soltanto in teatro, ma anche per quanto riguarda la ristrutturazione dei conti effettuata e tuttora in corso. A differenza di qualsiasi altro dicastero, ha dato il via a una silenziosa, efficace e necessaria operazione di ri-razionalizzazione delle proprie risorse. Anche se c’è ancora tanto da fare: basti pensare alle duplicazioni presenti negli Stati Maggiori o alle caserme inutilizzate o sottoutilizzate.
E’ necessario ragionare con realismo e con un’ottica futura di lungo periodo. L’Italia, come ai tempi della guerra fredda, resta una potenza navale imprescindibile dalle strategie e dalle linee geopolitiche del Mediterraneo, acquisendo in diversi campi una stima e una competenza forse inattese anche per noi. Però, di fronte all’esigenza di tagliare anche i costi della Difesa, è giusto chiedersi quale criterio verrà adottato. Si potrebbe facilmente seguire una linea popolare/elettorale, tenendo conto che la Difesa resta un settore scoperto alle critiche più semplicistiche; oppure si potrebbe procedere sulla base di scelte tecniche, puntando per esempio su alcune forze e rinunciando ad altre; o ancora, si potrebbe cogliere l’occasione per mettere in atto le nuove strategie di razionalizzazione elaborato in sedi Nato ed Ue.
Signor Presidente, Signori Ministri, di fronte alle tre possibilità, Competere esprime la propria perplessità sull’ipotesi politicamente più semplice, la prima, che apre però ad enormi rischi. In primis, perché determinerebbe una cannibalizzazione delle risorse a disposizione delle Forze Armate nella falsa prospettiva di un loro potenziale ma inverosimile reimpiego in altri comparti dell’economia italiana. Perciò Competere condivide la linea adottata del Ministro Pinotti, che proprio ieri ha ammonito: “guai se passa l’idea che la Difesa sia il bancomat da cui attingere risorse”.
Per questo Vi chiediamo un intervento coraggioso ed inequivocabile, un messaggio, dalle Forze Armate al cittadino, che faccia presente al Ministero dell’Economia e delle Finanze che tagliare unicamente o in gran parte le spese della Difesa significherebbe colpire in modo irrazionale anche capacità essenziali, oltre a cauterizzare uno dei pochi settori in crescita della produttività italiana.
Per questo, a nostro giudizio, è urgente l’elaborazione di un Libro Bianco della Difesa, in cui ci si interroghi giustamente sugli obiettivi strategici del nostro Paese e sulle relative potenzialità. Ma, ancor più, è necessario che un argomento così centrale nel dibattito politico del nostro Paese non sia relegato alle grigie stanze degli Stati Maggiori. E’ fondamentale che da queste riflessioni scaturisca un documento partecipato che possa raccogliere anche gli interventi del Parlamento e della società civile.
Sicurezza e difesa, per l’Italia, significano eccellenza. E sull’eccellenza si dovrebbe investire, non tagliare.
*Fellow di Competere e Ideatore di personalcommunicator.it
@PicasssoAntonio