Lavorare meno per lavorare tutti: lo slogan in voga negli Ottanta torna prepotentemente di grande e stringente attualità. A farsene protagonista, inascoltato trent’anni fa e ancora di più oggi, é con la solita irriverenza, grinta e tenacia l’ex-leader prima della Fim e poi della Cisl, Pierre Carniti, autore de ‘La Risacca – Il lavoro senza lavoro’, un libro in cui rilancia la via maestra della riduzione e della redistribuzione dell’orario di lavoro per l’occupazione.
“Il Jobs-Act? Non so francamente cosa sia e credo che non lo sappiano nemmeno coloro che sono il governo! Pare l’ennesimo oggetto misterioso che, temo, non produca nulla di buono. Del resto, abbiamo il record in Europa di essere il Paese con il più elevato numero di forme varie, anomale e atipiche in fatto di assunzioni. Per contrastare la disoccupazione non si agisce sulla domanda ma sull’offerta di lavoro: il buon senso dice che per dare lavoro, c’é bisogno di posti di lavoro e che per fare posti di lavoro occorre investire soprattutto in innovazione e ricerca”, chiarisce subito Carniti al tempo stesso vicino e lontano dal Pd.
Tanto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti quanto il Premier, Matteo Renzi non sembrano ‘amare’ molto il dialogo con le parti sociali, la concertazione di cui Carniti fu nell’83 e ’84, all’epoca dei due accordi triangolari con i governi Spadolini prima e Craxi poi, un accanito e convinto sostenitore.
“Bisogna sapere per cosa si fa la concertazione, cosa si concerta: allora al centro c’era l’inflazione. Oggi cosa c’e’? Non si capisce quale sia la questione in ballo. La concertazione poi presuppone la centralizzazione delle relazioni industriali e sindacali e più si concerta al centro meno spazio c’é per la contrattazione aziendale, quella legata ai risultati”, chiosa Carniti.
E torna alla questione che gli sta a cuore: la lotta alla disoccupazione perché nessuno/a deve stare senza lavoro e soprattutto quella giovanile.
“Redistruire gli orari di lavoro è la via maestra: se ne discutere dal dopoguerra e sarebbe ora di procedere in tale direzione: illusorio pensare che si esce dalla crisi senza un forte investimento collettivo”, conclude l’ex-sindacalista e rimanda al suo libro, dove spiega: “questo potrà avvenire grazie all’intervento della cultura, della politica, delle istituzioni, della società civile per raggiungere finalmente un equilibrio a misura d’uomo. Che non nascerà spontaneamente perchè presuppone un cambiamento di mentalità, di abitudini, di cultura per perseguire la dimensione libertaria della società e dello stesso capitalismo. Anche a costo di cambiargli le caratteristiche”.