Commento pubblicato su l’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi
Gli esempi, si sa, vengono dall’alto. E nell’esemplare necessità di contenere i costi pubblici, cioè pagati da noi tutti, l’ipotesi ribadita da Matteo Renzi di cominciare a farlo riducendo non le solite e traballanti pensioni del ceto medio, ma i robusti stipendi dei manager di Stato, non è un diritto alla demagogia: è un dovere di buonsenso.
Eppure, Mauro Moretti, l’amministratore delle Ferrovie dello Stato che guadagna -per sua stessa ammissione- 850 mila euro all’anno, obietta controcorrente: attenzione, se si tagliano i compensi, i manager pubblici finiranno per andare all’estero. E allora? Lo fanno già da tempo i nostri giovani figli, e gratis, pur di trovare un lavoro degno che gli è negato in patria: possono farlo anche i dirigenti adulti a svariati zero in busta paga, se davvero considerassero insopportabile l’affronto di una sforbiciatina -per ora solo “annunciata”- per contribuire a risanare i conti. Non è questo il problema, dunque: libera scelta in libero mercato, e che vinca il più bravo. Avere, poi, tanti manager italiani ai posti di comando in giro per il mondo, sarebbe un fiore all’occhiello e non certo una disgrazia per l’Italia.
La vera questione sollevata da Moretti riguarda, invece, la figura dell’alto dirigente di Stato. Che purtroppo, a differenza di quanto avviene in Paesi come l’America, dove certamente viene retribuito molto meglio perché rischia molto di più, qui è invece frutto della vecchia commistione con la politica. Né risponde economicamente del suo operato, il manager “made in Italy”. Cioè se sbaglia, non paga di tasca sua. Invece altrove il compenso dell’amministratore è così legato al risultato dell’impresa, che la retribuzione può essergli ridotta, e di molto, se le cose vanno male. E se vanno malissimo, lui stesso (o lei stessa: all’estero anche tante donne sono al vertice di aziende di pubblico servizio), possono essere cacciati dalla mattina alla sera.
Onori e oneri, quindi. Nessun “assistenzialismo” secondo l’andazzo del nostro circolo vizioso, dove il manager di turno è quasi sempre nominato dalla politica ed è inamovibile. Peggio, spesso lo riciclano di qua e di là e a qualunque età. Qui la rottamazione non vale. Inoltre può incassare ricche liquidazioni anche nella sventurata ipotesi che le cose da lui amministrate finiscano in rosso che più rosso non si può. L’emblematica vicenda del lungo, travagliato e lottizzato passato di Alitalia, di cui si sono fatti carico i contribuenti italiani per sette anni, è solo un piccolo esempio che dovrebbe ancora scottare.