I modelli econometrici? Non hanno mai funzionato davvero, quindi è giunta l’ora di rottamare anche quelli. I Renzi boys ne sono convinti a tal punto da essere pronti a sfidare l’ortodossia della Banca d’Italia. L’occasione viene fornita dal dibattito sul cuneo fiscale.
IL DIBATTITO SUL CUNEO FISCALE
Il presidente del Consiglio non ha ancora deciso se tagliare le imposte sulle imprese (l’Irap) oppure se ridurre il costo del lavoro aumentando anche i salari di fatto. Verso la politica dell’offerta lo tira la Confindustria, verso una politica della domanda lo spingono la Cgil e la maggioranza del Pd. Ma di una cosa Renzi è convinto: l’importante è invertire le aspettative, girare la chiavetta, rimettere in moto la macchina sbuffante. Tutto il resto seguirà; quanto ai sofisticati modelli econometrici che prevedono calma piatta, tanto peggio per loro.
CHE COSA CONSIGLIANO I MODELLI ECONOMETRICI DI BANKITALIA
Del cuneo fiscale ha discusso a lungo anche il governo Letta ed è finito in un cul de sac perché si è fidato, ha ceduto alla dittatura degli algoritmi. Nell’autunno scorso, infatti, Enrico Giovannini e Fabrizio Saccomanni hanno messo al lavoro i loro esperti, utilizzando il modello della Banca d’Italia incrociato con quello del ministero dell’economia. Hanno calcolato l’impatto di una riduzione della fiscalità sul lavoro, riducendo gli oneri sociali di vari punti percentuali. Dai computer è uscito un risultato deludente: l’effetto sulla domanda, sulla produzione e sull’occupazione appare minimo, mentre l’impatto sul bilancio pubblico nel breve periodo è negativo. Infatti, anche nel caso in cui entro la fine dell’anno fiscale ci fosse una completa copertura contabile, si verificherebbe una sfasatura temporale tale da mostrare subito un deficit in aumento che scontenta i mercati. Insomma, l’impresa non vale la spesa, questa la conclusione della trojka che guidava la politica economica nel governo Letta, memore delle deludente taglio effettuato dal governo Prodi nel 2007.
ECONOMETRIA BANKITALIANA IN VIA DI ROTTAMAZIONE
I Renzi boys non ci credono. Secondo Filippo Taddei, il giovane bolognese responsabile economico del Pd, il dibattito aperto nel mondo anglosassone e le autocritiche del Fondo monetario internazionale sulla politica fiscale, dimostrano quanto astratti e, quindi, fallaci possano essere i modelli macroeconomici. Ad essi sfuggono quasi sempre le componenti psicologiche e quelle microeconomiche. Due luminari e premi Nobel come George Akerlof (marito di Janet Yellen che ora guida la Federal Reserve) e Robert Shiller lo hanno scritto in un memorabile libro intitolato keynesianamente “Animal spirits” che critica il keynesismo accademico proprio per l’incapacità di inserire nel paradigma fattori legati al comportamento, alle attese, alle brame, alle speranze dei soggetti che fanno l’economia.
LE VISIONI DELLE DUE SCUOLE DI PENSIERO
Il neosoggettivismo movimentista dei renziani contrasta in modo netto con l’oggettivismo razionalista delle scuole di pensiero dominanti, a cominciare da quella che ha formato i grand commis finiti alla guida della politica economica, cioè la Banca d’Italia. Un conflitto culturale che può diventare politico. Pier Carlo Padoan, per il suo ruolo, per la sua formazione economica e per la sua sensibilità politica, è chiamato a risolverlo. Nessuno in anticipo sa se ci riuscirà, ma sono ormai chiari i termini della dialettica dentro il governo e con i centri di comando dell’economia. Renzi ascolta tutti e rischia di farsi confondere le idee.
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