Più che una luna di miele con i mercati finanziari, sono sogni d’oro e non è detto che durino. Da diverse settimane lo spread è in discesa, ormai stabilmente sotto i 200 punti base.
RENZI TRA PLAUSO DEI MERCATI E NUVOLE GEOPOLITICHE
Anche il battesimo del governo Renzi sembra essere stato accolto favorevolmente dai mercati finanziari, che non si erano affatto accorti delle convulse vicende politiche ed istituzionali che hanno dato luogo al repentino cambio di mano a Palazzo Chigi. Distratti forse, sicuramente disinteressati: c’è dell’altro cui guardare con preoccupazione, dalla fuga dei capitali dal Brasile, alla crisi geopolitica in Ucraina, alla tensione in Turchia che si mantiene elevata.
LA CALMA APPARENTE DEI CAPITALI
I capitali internazionali stanno tornando sull’Italia, ma è calma apparente: non solo siamo troppo vicini alle due aree di crisi dell’Oriente mediterraneo per non subirne i contraccolpi, ma l’intero sistema finanziario è molto esposto: soprattutto quello russo in Ucraina, prevalentemente quello europeo in Turchia.
IL VERO ASSO DA GIOCARE
L’Italia deve fare in fretta, quindi, deve approfittare di questa calma apparente per approvare il piano economico delineato dal neocostituito governo Renzi: restituire liquidità alle imprese e tono alla domanda interna. Il pagamento immediato di 60 miliardi di debiti commerciali delle Pa e l’abbattimento a doppia cifra del cuneo fiscale, 10 miliardi di euro, sono i due pilastri di un’unica manovra.
COME PAGARE I DEBITI DELLA PA
Se c’è un consenso unanime sull’impostazione di massima, le opinioni sono molto diversificate per quanto riguarda la loro concreta fattibilità, le modalità tecniche preferibili, le opzioni per la copertura finanziaria. In ogni caso, il sostegno espresso dal Fmi sulla strategia enunciata dal Premier Matteo Renzi, ferma la necessità di intervenire anche sul mercato del lavoro per lenire la disoccupazione, conferma l’esigenza di portare l’Italia su un percorso stabile di crescita interna per evitare che subisca il nuovo contraccolpo di possibili nuove crisi internazionali.
I TRE PROFILI DELLA QUESTIONE
La questione del pagamento immediato dei debiti commerciali che le PA hanno maturato verse le imprese, stimato in 60 miliardi, richiede un triplice approfondimento. In primo luogo, c’è un profilo tecnico-finanziario. E’ stato proposto, nell’ambito di pagamenti diluiti nel tempo, di procedere immediatamente all’apposizione di una garanzia formale da parte dello Stato sui singoli debiti riconosciuti dalle amministrazioni debitrici. I crediti in questione possono essere poi ceduti pro-soluto alle banche e quindi trattati alla stregua di un qualsiasi titolo del debito finanziario. E’ una alternativa al sistema adottato finore, che consiste nel conferimento della provvista di liquidità all’ente debitore che si farà carico di pagare in contanti il creditore. Sono due modalità estremamente diverse: mentre quest’ultima prevede che la provvista sia acquisita dal Tesoro con l’emissione di titoli del debito pubblico, la prima impostazione consente alle banche che hanno acquistato il credito riconosciuto e garantito dallo Stato di utilizarlo come collaterale per ottenere liquidità presso la Bce, a tassi di rifinanziamento attualmente irrisori. E’ ovvio che si deve prevedere una sorta di cartolarizzazione dei singoli crediti, conferendoli ad una o più società di scopo, per rendere più semplice e trasparente il processo di collateralizzazione e di pagamento dei debiti delle PA nel corso degli anni, a fronte della liberazione della garanzia.
IL NODO ISTITUZIONALE
La seconda questione è di tipo istituzionale: finora, ed in prospettiva, il Tesoro si è mosso sulla base delle rilevazioni contabili, considerando da una parte i residui passivi iscritti in bilancio e dall’altra i debiti perenti a fini amministrativi, registrati nel conto patrimoniale. Cosa diversa, e qui sta la divaricazione tra la stima del Tesoro, ancora 20 miliardi di euro nel 2014 per completare l’operazione (in totale, 40 miliardi conteggiando le operazioni effettuare nel 2013), e la più ampia cifra derivante dal campionamento delle interviste fatte alle imprese creditirici. I 60 miliardi di euro di debiti commerciali ancora da pagare, ben 40 miliardi in più rispetto ai dati contabili rilevati dal Tesoro, riguardano i debiti fuori bilancio delle amministrazioni locali e le perdite d’esercizio, ivi compresi i debiti finanziari pregressi, delle società che svolgono funzioni pubbliche, a prevalente partecipazione degli enti locali. Oltre alle singole responsabilità amministrative e contabili per le mancate registrazioni, c’è un aspetto più generale che riguarda la disciplina degli enti locali e l’organizzazione dei servizi pubblici. Non si può quindi dare corso ai pagamenti dei crediti maturati dalle imprese se non si opera contestualmente una chiusura dei varchi attraverso cui si sono formate queste eccedenze. Non può essere una sanatoria, come non lo fu neppure a metà degli anni 70 l’accollo alla Cdp dei debiti che gli enti locali avevano contratto con le Casse di risparmio, i cui vertici erano nominati dalle stesse amministrazioni pubbliche: fu prevista la previa approvazione delle piante organiche, la trasmissione dei bilanci, il divieto di contrarre nuovi debiti, l’obbligo di un piano di risanamento. Ora si deve fare lo stesso: se non si possono lasciar fallire le imprese creditrici, non si deve neppure tollerare che questo modo di operare prosegua ancora, addirittura giustificato dall’intervento d’urgenza da parte dello Stato.
LA QUESTIONE ORGANIZZATIVA E GESTIONALE
Si arriva così al terzo profilo, quello organizzativo e gestionale. Serve l’accorpamento a livello provinciale di tutte le aziende che gestiscono l’erogazione di servizi locali, ivi compreso il trasporto pubblico. Immaginare una liberalizzazione o una privatizzazione di aziende pulviscolari, con ambiti terriroriali e bacini di utenza ridicolmente piccoli, sarebbe una idiozia, bella e buona: l’inefficienza rimarrebbe sistemica, pagata ancora una volta dai cittadini con tariffe più alte o minori servizi. Bisogna stringere definitivamente i freni sui sistemi di rilevazione contabile, organizzativi e gestionali a livello locale: Matteo Renzi è stato a lungo amministratore locale e sindaco: sa che l’autonomia dell’amministrazione locale non può trasfromarsi né in impunità né in arbitrio a danno della collettività.
I NODI DA SCIOGLIERE SUL CUNEO FISCALE
Anche sulla riduzione del cuneo fiscale, 10 miliardi di euro, ci sono numerose questioni sul tappeto. In primo luogo, la ripartizione tra il versante del lavoro e quello delle imprese: mentre uno sgravio in busta paga dovrebbe andare tutto ai consumi, non è detto che un impulso altrettanto forte alla crescita verrebbe da una diminuzione generalizzata dell’Irap. Sono state avanzate diverse ipotesi: tagliare l’Irap solo sulla componente costo del lavoro; trasformarla in un credito d’imposta per gli utili non distribuiti, per incentivare la capitalizzazione dell’impresa; condizionarne l’abbattimento ai nuovi investimenti. La fantasia non manca, ma c’è però una convinzione diffusa: se per rilanciare la domanda interna è sufficiente ridurre il prelievo sulle buste paga, non è riducendo il costo del lavoro che aumentano la produttività e la competitività internazionale.
UNO SCAMBIO AUSPICABILE
Sono almeno tren’anni che la politica economica è rimasta avvinghiata al mito del controllo del clup (costo del lavoro per unità di prodotto) o del clol (costo del lavoro per ora lavorata), senza mai addentrarsi sulla necessità di un accordo più ampio con le forze imprenditoriali: moderazione salariale e sgravi fiscali in busta paga in cambio di maggiori investimenti in innovazione e di ricapitalizzazione delle imprese.
Serve un sistema premiale, che superi il patto neocorporativo del’ 93 che ci ha portato alla “crescita zero”, perché fondato su tre regressioni: bassi salari, bassi investimenti, bassa produttività del sistema pubblico. Una strategia demenziale, su cui tutti si sono adagiati.
Il premier Matteo Renzi sa che il tempo stringe: occorre dare liquidità alle imprese e restituire tono alla domanda interna. Ha in mano le risorse, ma deve chiedere regole nuove: è questo il nuovo verso.