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Disoccupazione giovanile, le colpe e le cose da fare

Tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo
(Giovanni Paolo II)

La disoccupazione giovanile non sembra essere colpa della crisi economica. L’affermazione, per certi versi sorprendente, per altri provocatoria, sintetizza il rapporto presentato recentemente dalla multinazionale della consulenza McKinsey, che ha condotto una ricerca sulle interrelazioni tra sistema scolastico e mondo produttivo in Italia.

Non voglio entrare in possibili polemiche – è vero che la disoccupazione giovanile nel nostro Paese ha carattere endemico e strutturale, ma i principali indicatori dimostrano come la crisi abbia acuito il problema – ma trovo che nella ricerca siano presenti alcuni punti sui quali si dovrebbe attentamente riflettere e sulla cui base occorrerebbe impostare le azioni per il futuro.

In particolare, credo che McKinsey colga nel segno quando parla di “carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico”. In altre parole, i consulenti ci dicono che il nostro sistema di formazione non è allineato alle necessità del mercato del lavoro, non fornisce ai giovani le competenze che sarebbero loro necessarie. E nell’era del capitalismo intellettuale, la carenza di competenze è il vero peccato originale dal quale dobbiamo in ogni modo cercare di emendarci.

Le soluzioni vanno trovate a tutti i livelli. Certamente nell’ambito scolastico e in quello universitario, che per troppi restano i soli momenti di formazione. Ma anche, e direi soprattutto, nella necessità di dar vita a percorsi di formazione-lavoro che non si limitino a una fase precedente la vita professionale, ma la accompagnino lungo tutto il suo percorso.

Non è una soluzione a breve termine, lo so, immaginare oggi innovativi sistemi di formazione-lavoro non servirà a ridurre il mostruoso dato sulla disoccupazione giovanile nei prossimi 3 o 4 mesi. Ma non possiamo pensare di lavorare solo sull’emergenza. Fermo restando il dovere di incidere su quella, è indispensabile anche impegnarsi su un orizzonte di più lungo termine, creando le condizioni grazie alle quali il problema che ci troviamo ad affrontare oggi non si ripresenti più in futuro nelle forme drammatiche che ci troviamo a fronteggiare.

Altrimenti perderemo la sfida del futuro.


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