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L’emergenza dimenticata della Repubblica Centrafricana

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale.

Mentre il governo centrafricano transitorio, guidato da Catherine Samba Panza ottiene dalla Repubblica Democratica del Congo un prestito di cinque milioni di franchi, la situazione interna della di Bangui è ancora di piena emergenza. Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, e il Ministro degli Esteri della Repubblica Centrafricana Toussaint Kongo-Doudou hanno congiuntamente richiesto l’invio di ulteriori truppe per rafforzare la missione di peacekeeping che vede già dispiegate truppe africane e francesi.

L’ONU è seriamente preoccupata dagli attacchi perpetrati ai danni delle popolazioni musulmane, che pongono concreto il rischio di pulizia etnica nell’ovest del paese. La Francia ha recentemente accusato François Bozizè, l’ex leader centrafricano spodestato dai ribelli Seleka nel marzo 2013, di essere il sostenitore delle milizie cristiane anti-balaka che stanno mettendo in atto una campagna di repressione ai danni dei musulmani Seleka.

L’Alto Commissario dell’ONU per i rifugiati Antonio Guterres ha affermato che migliaia di musulmani hanno abbandonato il paese a causa delle violenze continue tra cristiani e musulmani. Un’ulteriore missione ONU non sembra la migliore delle soluzioni: oltre al problema di reperire i fondi necessari, secondo il Responsabile del coordinamento degli aiuti dell’ONU Valerie Amos il problema principale resta il fatto che un ulteriore invio di truppe non potrà avvenire prima di sei mesi.

Se la Repubblica Centrafricana non sta attraversando un momento felice, anche il suo ingombrante vicino, il Sud Sudan non vive un periodo altrettanto tranquillo. Dopo due mesi e mezzo di conflitto tra le forze fedeli al Presidente Salva Kiir e i ribelli sostenitori dell’ex vice Presidente Riek Machar, le divergenze sono ancora molte. I negoziati tra le due parti sono tuttora in corso nella capitale etiopica Addis Abeba sotto il patronato dell’IGAD (Intergovernmental Authority for Development), l’organizzazione regionale dei paesi dell’Africa Orientale. Le due parti rimangono ognuna sulle proprie posizioni e nessun accordo è stato ancora raggiunto, mentre proseguono ancora gli scontri sul terreno. L’ultima richiesta dei ribelli è quella di formare un governo di transizione in cui il presidente Kiir non abbia nessun incarico.

Il governo di Juba non ha intenzione di accettare un ultimatum del genere dai ribelli: “non c’è possibilità che Kiir lasci il potere, se non perdendo le prossime elezioni presidenziali”, ha sentenziato Ateny Wek Ateny, portavoce dell’ufficio presidenziale. Nel frattempo il cessate il fuoco siglato dalle due parti nel mese di gennaio non ha fermato le violenze nel sud, soprattutto negli statidi Upper Nile e Unity, i due maggior produttori di petrolio. La situazione è particolarmente grave nella città di Malakal, la capitale dello stato di Upper NIle, da cui migliaia di persone sono state costrette a scappare e a rifugiarsi nel confinante White Nile.


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