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European Elections for Dummies

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Mancano meno di 60 giorni alle elezioni per il Parlamento Europeo, ed ancora si sa davvero poco di quello che sta succedendo. E’ bene partire dal presupposto che molti dei partiti europei non sono granché conosciuti, per cui alcune delle sigle di cui si parla suonano un po’ aliene.  Il panorama, però, non è poi così complesso: due i grandi partiti di centrosinistra e di centrodestra, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (Partito Socialista Europeo) ed il Partito Popolare Europeo. Al centro stanno i liberali dell’Alde (Alleanza dei liberal-democratici europei). All’ala sinistra e all’ala destra si trovano rispettivamente i Verdi e il Partito della Sinistra Europea (che raduna molti dei partiti della sinistra dei paesi nordici), ed il Movimento Europeo dei Conservatori e Riformisti (nel quale stanno soprattutto conservatori inglesi che più avversano l’Europa).

I giochi si fanno più gustosi se ci riferiamo ai candidati alla Presidenza della Commissione Europea, che fino alle elezioni del 2009 si sceglievano dopo le urne. Da quest’anno, invece, i partiti devono dichiararli in anticipo, sul modello delle elezioni nazionali. Dopotutto, la Commissione è l’esecutivo dell’Unione ed è giusto sapere in anticipo quale sia il candidato sostenuto dai partiti senza che siano i giochi di potere dei governi nazionali a determinarlo quando le carte sono già state date. E qui, dobbiamo ammetterlo, i Socialisti hanno giocato d’anticipo. Già da Dicembre 2013 è noto che a candidarsi alla Commissione sarà l’attuale presidente del Parlamento Europeo, il tedesco Martin Schulz, già agli onori delle cronache, oltre che per l’attuale prestigiosa carica ricoperta, per un diverbio avuto con Silvio Berlusconi. L’ Alde, il partito alternativo ai socialisti fondato da Romano Prodi e dai Lib-Dem inglesi per dare una casa europea all’Ulivo ha già scelto Guy Verhofstadt, ex premier belga. C’è poi la (prima) variabile impazzita, AlexisTsipras, espressione dei partiti di sinistra e dei verdi, che in Italia ha conquistato il sostegno della sinistra più radicale ed elitista. Lui, greco, e dunque portatore delle istanze dei paesi dell’Europa meridionale, potrebbe essere una delle sorprese delle elezioni europee. Il Partito Popolare Europeo ha invece atteso fino all’ultimo prima di designare al congresso del 6 Marzo, con una maggioranza sicuramente meno ampia del previsto, l’ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker per la presidenza della Commissione.

In questo sottobosco, molti partiti di casa nostra non hanno ancora deciso con chi affiliarsi. Da una parte abbiamo il PD che, non senza rimpianti, ha deciso di sostenere i Socialisti. Dall’altra, invece, il centrodestra naviga a vista. I popolari di Per l’Italia e l’Unione di Centro presenteranno quasi certamente una lista sotto l’egida del Partito Popolare Europeo e vorrebbero che Alfano corresse con loro per superare la soglia di sbarramento. Ma l’ex delfino di Arcore vuole contarsi, e minaccia di correre con una lista propria, anche se affiliata con i popolari europei. Tabacci e Boldrin hanno già dato sostegno a Verhofstadt. Scelta Civica flirta con l’Alde ma non si è ancora concessa. E’ poi ancora tutta da chiarire la posizione di Forza Italia. Se decidesse di affiliarsi alla famiglia dei popolari europei, è probabile che a Bruxelles non tutti sopporterebbero il mal di pancia. Alla fine probabilmente vinceranno ragionamenti di opportunità, ed il considerevole pacchetto di voti che Forza Italia può portare a Juncker. A meno che Berlusconi non spiazzi tutti e decida di correre da solo, andando ad ingrossare il numero di chi nel Parlamento Europeo non ha un referente politico preciso.

Il vero punto di domanda sono i partiti antieuropeisti. Non è un mistero che l’Unione sia attraversata da un vento di rivolta rispetto alla linea dell’austerità imposta dalla trazione integrale tedesca. E che gran parte della responsabilità della crisi economica sia addossata dai politici nazionali nei confronti dell’Europa, che non può liberare tutto il suo potenziale per gli squilibri fra poteri economici e poteri politici.  In questo spazio si levano molte voci contro le politiche del Berlaymont. Su tutti, chi per primo ha occupato la casella libera è stato il Fronte Nazionale francese, guidato da Marine Le Pen, figlia dello storico leader della destra francese. In Germania vi sono il Partito Pirata ed i No Euro. In Grecia Alba Dorata. In Italia, più modestamente, abbiamo la Lega Nord (cui di recente si è aggiunta anche Fratelli d’Italia). E poi c’è Grillo. Grillo non è incasellabile in nessuna delle figure precedenti. Non è di destra come Marine Le Pen, non è Alba Dorata, non è secessionista come la Lega e per quanto abbia punti di contatto non è certo l’omologo italiano del Partito Pirata. Ed è questa in parte la ragione del suo successo, perché cavalca la bestia strisciante del malcontento diffuso, difficile da identificare e da indirizzare verso una direzione produttiva.

Questi partiti non hanno ancora scelto un vero e proprio candidato per la Commissione, né è detto che ne sceglieranno uno. Sanno di non potere vincere, ma sanno molto bene anche di potere essere decisivi ed imprevedibili così come sono, senza un vero riferimento.

In effetti, secondo un recente sondaggio, il blocco antieuropeo è accreditato di almeno 90 dei seggi del Parlamento. Ma è molto probabile che siano stime per difetto. Tutto questo, però, in un paradosso. Non c’è bisogno di meno Europa, ma di più Europa. Quello che i partiti antieuropeisti più ragionevoli chiedono (senza prendere in considerazione le teorie NoEuro, perché meritano un discorso a parte), cioè un processo più aperto, più democratico e più efficiente, si può ottenere solo con un’ulteriore trasferimento di poteri dal livello nazionale a quello europeo. Questo dovrebbe essere il programma politico dei partiti europei. Questa la loro preoccupazione. La prima economia del mondo, il primo potere del mondo, non sono come molti credono, gli Stati Uniti d’America o la Cina. E’ l’Unione Europea. O almeno, lo sarebbe, se gli stati che ne fanno parte decidessero di liberarla dalla gabbia dorata in cui l’hanno imprigionata.


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