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Francesco, the social pope

Un anno è trascorso da quando, nel marzo scorso, fu eletto al soglio pontificio Jorge Maria Bergoglio. Dall’istante della sua prima apparizione si sono moltiplicati i commenti alla sua impostazione comunicativa. Come era ovvio dall’elezione “a sorpresa” di Francesco, i primi passi mediatici sono stati diretti a sottolineare una diversità di approccio rispetto al prede­cessore. Quest’ultimo, che aveva ereditato anche il peso dell’enorme cari­sma di Wojtyla, ha soprattutto assecondato la propria natura intellettuale ponendosi più come dottore che come pastore. Francesco ha privilegiato, nei suoi atti pubblici, un atteggiamento di rottura con la prassi consolidata. Il richiamo continuo alla semplicità e alla frugalità non è un dettaglio legato a esigenze comunicative ma un’indicazione dottrinaria precisa e di grande impatto per una società occidentale secolarizzata e consumistica.

LA POSIZIONE INNOVATIVA

Già il giorno dell’elezione papa Francesco ha fatto notare la sua po­sizione innovativa di uomo scelto alla fine del mondo. Come e più del Wojtyla che veniva da lontano, il nuovo papa è una figura degli antipodi che irrompe al centro del mondo occidentale come un corpo estraneo, ma si immerge anche nel corpo mistico della cristianità. I gesti successivi hanno sottolineato non la sua qualifica di monarca della Chiesa, ma la profonda umanità del messaggio cristiano.

L’UMILTA’

Senza avere la robusta virilità di un Wojtyla, Bergoglio si è proposto al pubblico come exemplum, esempio di umiltà anche nella predicazione. Alla sobrietà estetica del suo vestiario e del suo eloquio ha aggiunto quella sim­bolica dei gesti. La visita al papa emerito che da omaggio formale si trasfor­ma in riconoscimento della doppia natura dottrinaria e pastorale del ruolo pontificale. I discorsi che si centrano spesso sulla figura di Gesù-uomo, fon­te di un amore straordinario perché intimamente umano. La corona di fiori lanciata nel mare di Lampedusa in memoria degli esclusi e per rafforzare il dialogo interreligioso con l’altra sponda del Mediterraneo. Persino il gesto inedito della sedia vuota a un concerto organizzato dalla curia che amplifica così la portata della sua assenza.

L’ELEMENTO CARDINE DEL CRISTIANO

Per comprendere l’effetto penetrante dell’operazione che ha portato al papato di Bergoglio ci sarà utile la riflessione di Jean Baudrillard sulla pul­sione di morte come elemento fondamentale del segno e del linguaggio. Il filosofo era arrivato a definire il postmoderno come una simulazione con­tinua e indifferente di immagini che permeava completamente l’individuo. Ebbene anche il Cristianesimo, come appunto in Francesco d’Assisi, può essere religione di radicale solitudine e spossessamento. In alcune pratiche, di vita prima che teoriche, l’elemento cardine dell’esperienza del cristiano è la morte, intesa non tanto come fine dei tempi, ma come perdita di senso di un tempo che è mera convenzione e perde di significato nella contem­plazione dell’Eterno.

E LE DIMISSIONI DI RATZINGER

Le dimissioni di Ratzinger hanno messo al centro della comunicazione con i fedeli il gesto della morte stessa. Questa affermazione sembra parados­sale perché di solito un papa non si dimette ma appunto muore. Per esem­pio, la lunga agonia mediatica di Wojtyla evidenziò l’elemento simbolico del suo lungo percorso cristico nell’ultima parte del pontificato. Tuttavia, come gli altri papi, Wojtyla nella sua agonia aveva definito una posizione individuale rispetto alla morte, non la dissoluzione dell’istituzione ponti­ficia. La posizione dell’istituzione e dell’assemblea dei fedeli restava quella dei regimi monarchici classici: “Il re è morto, viva il re”.

LA ROTTURA SIMBOLICA

La funzionalità dell’istituzione ecclesiastica non era in discussione e l’e­lezione di Benedetto xvi fu valutata dagli osservatori come segno di con­tinuità e riaffermazione in immagini della gestione collegiale della curia. Ebbene, le impreviste dimissioni di Ratzinger per come sono state annun­ciate e rappresentate hanno costituito una violenta rottura simbolica. Il papa che abbandona San Pietro in elicottero guardando mestamente da un finestrino, che saluta definitivamente a Castel Gandolfo per poi negarsi allo sguardo dei viventi. La vacatio di un conclave che si annunciava pieno di in­cognite. Tutto evocava un’angosciosa crisi dell’istituzione stessa. Insomma, la morte di un papa rafforza il prestigio della Chiesa riaffermandone la con­tinuità, le dimissioni aprono un trauma che si estende anche alle immagini, alle simulazioni, al virtuale. Una crisi che poteva portare alla dissoluzione del sistema di simboli, quindi a una morte collettiva, alla fine dei tempi.

IL TEMPO DELLA FINE

Il gesto teologicamente molto pensato di Ratzinger, come afferma Gior­gio Agamben in Il mistero del male, riporta al centro del sistema delle im­magini il tempo della fine, una fine non incipiente ma sempre incombente. Il tempo del cristiano torna così ad essere fondato sulla morte e la rinuncia al potere. È una morte simbolica, un eccesso di vitalità che va verso Dio piuttosto che verso la mondanità. È il preludio a una svolta mistica che si riflette necessariamente nel sistema mediatico. La rinuncia è una forma di dono che mette in contraddizione la Chiesa con la modernità. Rifiutando la dicotomia tra modernizzazione e conservazione, la Chiesa rientra nel dibat­tito sociale con il suo patrimonio dottrinario e le sue specificità simboliche, concettuali e formali. Essa parla alla contemporaneità inclusa in un tempo messianico e in una storicità sui generis.

LA FINE DEL PAPATO

Il circuito dei media ha sperimentato che la morte di un papa è fisio­logica, prevista dall’istituzione e regolata nelle procedure di successione, mentre la morte del papato, o l’idea di essa che per un attimo è evocata è la fine di qualunque immagine. Dietro il simbolo si nasconde il vuoto, la pura assenza di significato. Ripristinare la figura papale ha significato reinserire il flusso potenzialmente infinito delle immagini postmoderne, in una teoria dialettica tra la figura paterna che pone il limite e il flusso continuo della vita. La rappresentazione, anche senza essere metafisicamente fondata, rico­struisce una dialettica tra la semplice proliferazione e l’istituzionalizzazione delle immagini.

IL CIRCUITO DEI MEDIA

Sicuramente l’effetto comunicativo implicito nell’atto delle dimissioni può dirsi raggiunto dal momento che tutto il periodo intercorso tra l’annuncio delle dimissioni e l’elezione di Bergoglio è stato monitorato dai media con un’attenzione drammatica. Nel 2005, la morte di Giovanni Paolo ii era stata un grande evento della storia della Chiesa e il successivo conclave un corolla­rio. L’elemento iconografico centrale era il “papa santo” che aveva reso media­tico e popolare il proprio martirio. Nel 2013 l’occhio dei media si sposta dalla figura di Joseph Ratzinger all’istituzione, al suo essere ancora corpo universale dei fedeli. La vacatio, le procedure, soprattutto il conclave, vengono analizzate come momenti di una ritualità esoterica, ma proprio per questo affascinante in una società occidentale che ha perso la dimensione rituale del Sacro. Si crea nelle immagini televisive una sorta di tensione tra il bisogno di significato e l’elemento ieratico, ripetitivo, atemporale, dei meccanismi del conclave.

L’EVENTO TV DELL’ANNO

Il conclave del 2013 diventa l’evento Tv dell’anno, oltre a una vera e propria rivoluzione nella storia della Chiesa. Il tempo del rito viene media­tizzato ma non fagocitato dalla temporalità moderna poiché appartiene a un piano spirituale, sottratto alla logica del consumo da parte dello spettatore. Le modalità rappresentative del conclave gestite dalla televisione tendono ad adattarsi all’apparato simbolico disposto dalla Chiesa, non viceversa. La Chiesa si pone dunque in rapporto diretto con l’immagine postmoderna dando una polarità messianica a quella che in apparenza è solo una molti­plicazione di superfici visuali.

IL RUOLO DEL CRISTIANO

Peraltro le centinaia di smartphone e tablet accesi a Piazza San Pietro hanno costituito una rielaborazione in chiave spirituale della profezia paso­liniana sul filmino di Zapruder. Viene sconfessato lo scetticismo di Baudril­lard: il proliferare delle immagini non è un flusso informe, ma un’esperien­za in cui il ruolo del cristiano è esaltato nell’individualità e nel collettivo. Le centomila versioni dell’habemus papam dialogano in un’architettura sociale. L’apparato reticolare della civiltà tecnologica e sociale e la comunità cristiana hanno la possibilità di sovrapporsi. La figura del papa non è solo quella del detentore del potere ma il frutto di un costrutto archetipico. Il rapporto istituzione-fedeli è sancito nella virtualità dell’immagine immate­riale come vero e proprio patto simbolico. Il momento dialogico ne costru­isce una rivelazione, nel senso più stretto del termine.

IL LINGUAGGIO DI BERGOGLIO

Fin dalla sua elezione Bergoglio ha impressionato fedeli e addetti ai lavo­ri della comunicazione per il linguaggio e i modi semplici usati. Essi, oltre ad essere lontani dall’articolata teologia di Ratzinger, sono apparsi vicini a una comunicazione “social” o a quella di un leader politico contemporaneo. Sono sorti equivoci per cui Bergoglio appariva moderno perché usava veri e propri slogan, affilati, concisi, immediatamente comprensibili. Il linguag­gio del papa lo ha fatto definire populista o, con un’eccessiva attenzione al nostro contesto nazionale, “grillino”. Ciò farebbe erroneamente pensare a una Chiesa che reagisce alla modernità adattandosi passivamente ad essa su un piano superficiale.

UN EVENTO COMUNICATIVO

Ma come fa autorevolmente notare Antonio Spadaro, direttore di Ci­viltà cattolica, il linguaggio bergogliano è tutt’altro che mutuato da quello dei leader politici contemporanei o alieno alla tradizione comunicativa cri­stiana. Le radici del linguaggio del papa affondano nei detti sapienziali e nel sermo humilis di Agostino. In questo caso la schiettezza del discorso non serve come semplificazione di un complesso messaggio teologico, lo “slo­gan”, ma crea un “evento comunicativo”. Diventa importante sottolineare la nozione di “evento” perché questo termine riporta con alcune differenze alla riflessione sulla testualità dei post-strutturalisti, da Derrida a Barthes.

IL RAPPORTO INTIMO CON I FEDELI

Il linguaggio in questo caso non è soltanto il veicolo di un messaggio: è esso stesso un atto che consente all’ascoltatore di interiorizzare l’identità di colui che parla. Papa Francesco comunica tramite i suoi detti, crea un rap­porto intimo tra sé e i fedeli. Il logos di Ratzinger aveva a che fare con una razionalità filosofica che ne definiva contenuti e forme. Quello di Bergoglio si definisce nell’atto stesso della parola, sul momento. La sua semplicità non è né slogan né buonsenso parrocchiale, ma un’aforistica di natura zen che comunica la relazione tra due persone, in maniera non dissimile dal compi­to della letteratura in Maurice Blanchot.

L’EFFICACIA DELLA SUA COMUNICAZIONE

Quindi la comunicazione di Bergoglio ha anche una natura letteraria vi­cina al lessico postmoderno che si ricodifica continuamente nell’atto stesso di parlare. Colui che parla agisce sì su regole preesistenti, grammaticali e sintattiche, ma il discorso, l’atto di parola, non è mai uguale a nessun atto precedente. Il linguaggio è un evento ogni volta che si manifesta. Ogni discorso di Bergoglio è dunque un atto unico, irriducibile a tutti gli altri. Questo spiega l’efficacia genuina della sua opzione comunicativa.

IL CARISMA CHE CREA ATTESA

È in corso il tentativo di riconfigurare il linguaggio occidentale dalla di­stanza dell’ufficialità alla forma sintetica della semplicità. A riprova dell’ef­ficacia di questo approccio, l’identità di papa Francesco non è debole: la sua sobrietà è anzi diventata un attributo apertamente spettacolare, che crea attesa e carisma. Non è un caso unico, dato che anche un leader politico come José Mujica, nel contesto dell’Uruguay, è riuscito a fare della sobrietà pauperistica un punto di forza della propria strategia comunicativa. La co­struzione dell’icona pop smuove archetipi molto profondi, dunque non è necessaria un’ostentazione di potere e successo. Bergoglio da questo punto di vista non modernizza la figura cristologica o sacerdotale, fa esattamente il contrario, mostrando quanto l’esempio personale sia alla base della nostra modernità iconografica.

FIGURA SPIRITUALE, UMANA E PUBBLICA

Anche per la sua humanitas esemplare, il papa può essere simultanea­mente figura spirituale, umana e pubblica. L’ascesi individuale, lontana dal­la mondanità, si coniuga col dibattito sociale e politico, ma questo doppio binario è già presente nella predicazione evangelica, in quella francescana e in quella dei gesuiti, dunque parte integrante del nostro patrimonio intel­lettuale. Quando Bergoglio comincia il suo dialogo col mondo laico non lo fa come rappresentante di un’istituzione. Neanche gli preme sottolineare il ruolo storico della Chiesa, come guida ideologica verso il Regno di Dio. Ancora una volta è lui stesso come uomo a entrare in comunicazione diretta con i suoi interlocutori, costruendo un fittissimo dialogo che parte dalla sua umanità.

LA DIMENSIONE INDIVIDUALE E COMUNITARIA

Il papa è un cittadino e un soggetto pubblico, e in quanto tale parla della sua testimonianza cristiana, mettendosi alla pari con Eugenio Scalfari che a sua volta testimonia la propria esperienza laica. Ancora una volta nella comunicazione di Francesco è l’elemento dialogico a prevalere e penetrare. Ogni individuo è una testimonianza, quindi ogni dialogo tra individui non è centrato su uno dei due termini, ma sull’intreccio tra le due persone. La dimensione individuale e quella comunitaria entrano in mutuo accordo.

LA RELIGIONE COME SPAZIO DI DISCUSSIONE

Questa nuova dimensione comunicativo-dialogica inaugurata dal papa­to di Bergoglio restituisce la religione alla sfera pubblica in termini di dia­logo. Perfino il dibattito più intellettualizzato ne è stato influenzato. Ne è una prova la lettera che il papa emerito ha inviato a Piergiorgio Odifreddi, campione dell’anticlericalismo militante. Prima di Bergoglio una comu­nicazione tra due soggetti così distanti sembrava improbabile, ora è quasi normale, contribuendo non poco a disinnescare le sterili contrapposizioni di cui si sono nutriti atei-devoti e mangiapreti nel decennio precedente, alla ricerca di un’egemonia politica che con la religione ha poco a che fare. La religione non può essere teologia applicata alla politica, ma spazio di discussione, quindi comunità: l’ecclesia e la polis si incontrano su un piano di relativa omologia.

PAPA FRANCESCO E I LEADER DEL XXI SECOLO

È questo che avvicina e differenzia la figura di Francesco da quella degli altri leader del xxi secolo. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una ridefinizione della nozione di leader. Il politico di professione o il tecnocra­te ha dovuto confrontarsi con una complessa mitologia popolare che tende a trasformarlo in icona pop. Ciò non si risolve come in Wharol solo con la costruzione di una distanza, al contrario esige una forte partecipazione del politico alla dimensione collettiva, dai bagni di folla a uno stile di vita esemplare per le masse, la coolness hollywoodiana di Obama ne è un esem­pio tipico.

Il politico è anche maestro di “stile democratico”, funge da modello per il proprio comportamento quotidiano. Questa normalità nella diversità del mito è una componente del leader postmoderno, nell’occidente democrati­co come nella Russia di Putin o nel Venezuela di Chavez. In questo contesto si inserisce Bergoglio con la sua 24 ore nera, con la Renault usata, con i pan­taloni scuri sotto l’abito bianco, particolari che ridefiniscono una normalità nell’approccio alla figura pontificale. Non sono in gioco solo dei simboli ma l’essenza democratica della leadership. Partecipare alla sfera pubblica senza determinarne a priori l’etica e la sistemazione vuol dire far entrare la Chiesa nell’alveo del dibattito democratico. Se è così il pontefice non può essere una figura distante nell’abbigliamento e nel comportamento.

LA DOPPIA NATURA DEL SUO MANDATO

Una figura ieratica e istituzionale avrebbe un suo valore auratico, ma sa­rebbe difficile incarnarla nel ruolo di pastore. In fondo il papato di Ratzin­ger è trascorso su questo dilemma: recuperare funzione pubblica alla Chiesa sottolineandone però l’irriducibilità alla sfera pubblica. Anche tramite la comunicazione, Bergoglio incarna la doppia natura del proprio mandato avvicinando i due elementi della trascendenza e dell’umano, calando la fi­gura del Vicario di Cristo nell’umanità schietta e semplice dei rapporti fra le persone.

RICONOSCIBILITA’ MEDIATICA E QUESTIONE DEMOCRATICA

Se la Chiesa deve essere protagonista nel dibattito pubblico del nuo­vo secolo, allora essa stessa deve presentarsi in forma umana e dialogante. Siamo di fronte a una complessa interpretazione comunicativa del messag­gio evangelico: il carisma di Gesù non nasce dalla sua distanza, ma dallo scandalo viscerale della sua umanità. Riconoscibilità mediatica del leader e questione democratica si intrecciano dunque l’una con l’altra.

Fabio Benincasa, docente presso Duquesne University

Articolo contenuto nell’allegato del numero di marzo della rivista Formiche dal titolo “E venne Francesco”.

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