Il mestiere dello startupper è un mestiere duro. Durissimo. Chi mette su un’impresa dal nulla con l’aggravante di essere giovane è tenuto in conto dalla società alla stregua della donna dell’ottocento. La donna che per Schopenhauer era a metà strada tra l’uomo e l’animale. Se va bene, ti spetta il ruolo della mascotte, di essere dell’imprenditore una caricatura, quella col vezzeggiativo. Quando ti presentano a qualcuno, o parlano di te, ti descrivono come uno un po’ matto, uno che si è inventato la tal cosa, in genere complicatissima come tutte le cose che prima non c’erano, guardandoti e inducendo gli altri a guardarti come una eterna promessa. Sei il petit bijou. Come Toulouse-Lautrec. Puoi crescere ma senza che ti si sviluppino troppo le gambe.
Quando ti è concesso di partecipare a un qualunque consesso con gente che conta, nel senso algebrico e poco euclideo, com’è dalle nostre parti, e nella discussione provi a importi dando fondo alle tue argomentazioni, i più ti guardano con sospetto. Ti offrono un sorriso che è solo movimento labiale. Quel sorriso che non è accompagnato dallo strizzare degli occhi che svela l’ipocrita accondiscendere. I meno dissimulatori, che non ti stanno di fronte, alzano di qualche centimetro il capo stralunando, ma solo di qualche grado sull’orizzonte, gli occhi dentro alle orbite. La tipica reazione del marito in quelle cene, logore, al fantasticare della consorte prolissa. Perché gli startupper, come le donne, sono tutti segni di aria. Non esistendo la cultura del rischio, il più navigato imprenditore dirà di te che sei un kamikaze. Brilli, ma la tua luce deve far luce verso di lui senza mai metterlo in ombra.
Gli specchi sono diventati touch screen, ma siamo sempre fermi a Biancaneve e alla matrigna che, con lo sfiorire di sé, diventa invidiosa della bellezza della giovane al punto da pianificare il più malvagio dei disegni.
L’Italia è paese di pigmalioni. Tenutari di rendite di posizione, ti invitano alla presentazione del loro libro ma solo per dimostrare che loro sono il passato e il futuro mentre tu sei solo il presente. Parente stretto di quello che sempre Schopenhauer sosteneva nel suo trattatello sul modo di trattare le donne. Le quali, secondo l’autorevole filosofo, non hanno sviluppato doti di raziocinio per poter immaginare un futuro sulla base di ciò che è stato, ma solo l’intuito, tutto markettaro di cogliere i trends, per cogliere la contingenza dell’oggi. Idealisti non se ne fabbricano più. Le ideologie sono morte e sepolte. Gli anniversari, per evitare il rischio di risvegliare troppo le coscienze, per non correre il rischio di costruire una comunità facendo della memoria collettiva di Zerubavel il massimo comune divisore, si mettono in scena come commemorazioni. E appunto nelle commemorazioni, si sa, solo chi c’è stato può tirare fuori il fazzoletto di stoffa. Quelli che sono venuti dopo, non avendo il nodo in gola, sono chiamati a recitare una parte che altri hanno scritto per loro. Quella dell’ignorante che non sa nulla del passato e che, pertanto, non può pretendere di immaginare il futuro. Anche perché, poi, che verso vuoi cambiare tra fiscal compact, spending review e consigli di Suor German(i)a. Più di un metro di corda non c’è n’è per nessuno. E non rimane che un unico verso, il barbarico Yawp!