Skip to main content

Hugo Chávez, il dittatore che teneva in pace il Venezuela

L’evento internazionale che ha segnato la mia infanzia è stato certamente la lunga guerra nella ex Jugoslavia. Ero un bambino ma ricordo distintamente le aperture dei telegiornali, le bombe a Sarajevo, le manifestazioni pacifiste sulla costa Adriatica, la comune sensazione degli adulti che tutto quel massacro avesse a che fare anche “un po’ con noi”. E una frase, una, segna il mio ricordo di quel conflitto prima che, da grande, iniziassi ad informarmi sulle cause, sulla pulizia etnica, su Srebrenica: “Tito era un dittatore ma almeno riusciva a tenerli insieme.”

Forse erano anni diversi, ma non credo che la coscienza civile fosse meno evoluta rispetto a oggi. Anzi, il ricordo della dittatura in Italia era più fresco di vent’anni. Mi sembra che, a un anno dalla morte di Chavez, stia dilagando una convinzione simile. Era un dittatore, ma riusciva a tenere in pace il Paese.

Oltretutto si inizia a parlare di Chavez con quel “Lui” dal suono maiuscolo: “Lui” ha ridotto l’analfabetismo, “Lui” ha distribuito la ricchezza, “Lui” ha fatto grande e forte il Venezuela, “Lui” era amato… Si sa, la morte santifica, soprattutto quando i successori non sono all’altezza. Nicolas Maduro non è all’altezza di Hugo Chavez: non ne ha il carisma, non ne ha la forza, non ne ha l’acume strategico e la furbizia internazionale.

Sapendo di essere in fin di vita Hugo Chavez ha designato un successore che sapeva essere meno capace e meno carismatico di lui. Questo è stato l’ultima beffa regalata da Chavez al Paese che per anni aveva sfruttato come palco del proprio teatrino.

A maggio 2013 Maurizio Stefanini scriveva su Limes del rafforzamento dell’Alleanza del Pacifico e relativo indebolimento del Mercosur, soprattutto dovuto alla scomparsa del suo ispiratore carismatico. L’America Latina, più di ogni altro Continente, è un popolo. Un popolo grande e unico, con una storia comune da raccontare. Hugo Chavez era diventato, nei suoi quindici anni di governo, il leader indiscusso di questo popolo. Era la figura di riferimento della maggior parte dei presidenti e dei primi ministri, era l’uomo forte che poteva guidare il Continente a una nuova primavera, a un nuovo valore internazionale, a un nuovo sistema di assi economici Mondiali.

Ora si è aperta una sorta di lotta di successione, con Rafael Correa in prima fila a rivendicare la leadership della sinistra, sempre sospesa tra socialismo e autorità, dell’America Latina. Non sarà Nicolas Maduro l’uomo forte del Continente, non potrà mai esserlo.

Quando la repressione esce dalle caserme e dai seggi elettorali e arriva in piazza, sotto le telecamere e le macchine fotografiche, il leader non può che perdere il proprio carisma e la propria credibilità. Quando un popolo inizia a urlare e a battersi per la democrazia e la libertà, la storia ha voltato faccia. Obama ha affermato pochi giorni fa che Putin si trova dalla parte sbagliata della storia. È un’affermazione forte, univoca, aggressiva ma realista e dalla portata ideale enorme e, ora, possiamo tranquillamente rifletterla su Nicolas Maduro.

Hugo Chavez era, per le sinistre europee, la dimostrazione della fattibilità del socialismo reale, della rivoluzione dal basso. Credo fortemente, dai commenti e dagli interventi che leggo nelle ultime settimane, che la grande genialità di Chavez sia stata trasmettere al Mondo l’immagine di un passato Venezuelano fatto soltanto di corruzione, miseria, ingiustizia e analfabetismo. E ci è pure riuscito.

Ora di Chavez si parla meno e, a un anno dalla sua morte, non sono cambiati soltanto gli equilibri economici e politici ma sono cambiati i simboli del Continente. Oggi va di moda Pepe Mujica, il “presidente povero” dell’Uruguay. Un personaggio di pace, unità e speranza, anche se spesso ci dimentichiamo che è stato Chavista, che ha nostalgia di Chavez, che ha affermato che l’America Latina avrebbe bisogno di più capi di stato simili all’ex Presidente Venezuelano. L’immaginario popolare è incline agli eroi.

Un anno fa moriva Hugo Chavez. In un anno la repressione si è appunto spostata dalle caserme alla Piazza. Non parlo di economia, non sono ferrato sull’argomento. Posso parlare di diritti umani: negli ultimi 16 anni in Venezuela non sono mai stati rispettati, e ora questo è sotto gli occhi di tutti. Sono cambiati i riflettori, è cambiato lo scenario della violenza.

Un anno fa moriva Hugo Chavez e partiva la campagna elettorale. Un anno fa leggevo speranza negli occhi degli amici venezuelani. Poco meno di un anno fa il mio amico Patita era tornato a Caracas dicendomi: “Ha vinto Maduro, ma ora l’opposizione è forte e sarà obbligato a cambiare qualcosa. Voglio crescere mio figlio in Venezuela” . Poco più di un mese fa il mio amico Patita è fuggito a Milano, fuggito da un giorno all’altro per la paura di non poter più fuggire, o di morire.

Sono cambiati gli equilibri di potere, è cambiato l’immaginario collettivo ma soprattutto sono cambiati i doveri morali del Mondo. Se prima era semplice fingere di non sapere e non vedere, credere in questa Rivoluzione distruttiva, ora non è più possibile. Graham Green, nel suo The Quiet American, affermava: “Prima o poi bisogna scegliere da che parte stare, se vogliamo restare esseri umani”.  Chi non ha mai preso posizione, chi ha preferito chiudere gli occhi, ora deve scegliere da che parte stare.

Emiliano Aimi. Scrittore. Ha pubblicato “Idealismo Selvaggio – interviste e riflessioni sul Venezuela ell’epoca del Chavismo” (Il Filo, Gruppo Albatro, 2006)



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter