Nel 2007 è stato pubblicato Hugo Chávez. Il caudillo pop (Marsilio editori), scritto da me insieme a Luca Mastrantonio. Il libro era nato da alcune circostanze, in primo luogo dalla necessità di dare una risposta alla domanda su chi fosse Chávez. Nell’introduzione spiegavamo: “Le circostanze sono l’incontro, casuale e poi fatale, tra due punti di vista complementari: un Paese del vecchio continente e un paese di ciò che sembrava un nuovo mondo”.
LO SGUARDO ITALIANO
Da parte italiana c’erano molta curiosità e interesse per un politico affascinante e inquietante, che dopo un militaresco colpo di Stato fallito, in un’ascesa mediatica e globale incredibili, è passato dal capitalismo umano a un socialismo nazionale. Da parte venezuelana, invece, c’era il bisogno naturale di analizzare e comunicare all’esterno un fenomeno di rivoluzione epocale come il “chavismo”, positivo sul piano sociale ma negativo su quello della democrazia.
IL MAGO DELLE EMOZIONI
Nell’introduzione del libro, Gian Antonio Stella aveva ripreso la definizione di Chávez dello psichiatra e antropologo Luis José Uzcategui: “il mago de las emociones”. “Un intruglio da ‘curandero’ dove ha messo un basco militare, la bandiera rossa, una spruzzata di castrismo, due note di flauto andino, un po’ di peronismo in salsa Evita e dosi triple di populismo, il tutto spalmato di melassa televisiva traboccante “chiquita” e “muchachita” e bacetti e “cuoremio” che manco Mara Venier a mollo nello sciroppo”.
LA PASSIONE ITALIANA PER CHAVEZ
Stella diceva che i fumi della pozione magica, oltre a stregare una maggioranza sempre più larga di venezuelani, sono stati portati dai venti atlantici al di qua dell’oceano. “E hanno fatto perdutamente innamorare un pezzo della sinistra italiana. La quale, dimentica di tante delusioni tropicali prese in passato, dai sandinisti di Daniel Ortega a Fidel Castro … stravede per il presidente venezuelano con una passione difficile da capire”.
Dopo un anno dalla morte di Chávez, gli intellettuali italiani sembrano non vedere con lo stesso entusiasmo il processo bolivariano guidato da Nicolás Maduro. Perché?
Gianni Vattimo diventò chavista dopo essere stato folgorato durante una trasmissione in Venezuela, Aló presidente, dove Chávez fa il conduttore per ore e ore dello show. Ora che non ci sono più i riflettori, ora che il chavismo si rivela una triste maschera del potere, pare che gli intellettuali si siano disamorati. Maduro é meno sexy, non ha il fascino della divisa, non ha il talento da showman di Chávez.
Quanto era determinante il carattere “pop” di Chávez nel successo del suo progetto politico? Era il suo carisma la base di tutto?
Più di qualsiasi altro politico mondiale degli anni zero. Più di Berlusconi, che pure è uno showman, ma non si è mai buttato con un paracadute in uno studio televisivo, come Chávez quando era sconosciuto. Alla mostra del cinema di Venezia ricordo Chávez venuto per il film che gli aveva dedicato Oliver Stone: sul tappeto rosso era quello che Hegel descrisse in Napoleone a cavallo, lo spirito del nostro tempo. Chávez era tante cose in una, buone e cattive, vere e false, ma era soprattutto pop. C’è solo una guida politica più pop di lui, ma è venuta dopo, sempre dal Sudamerica comunque, Papa Francesco.
Guardato da qui, dall’Italia, pensi che il chavismo sia morto con Chávez?
Maduro finora si è dimostrato inadatto a gestire il dopo Chávez. La sua prima uscita pubblica dopo la morte del caudillo è stata accusare gli Stati Uniti di averlo avvelenato; la sua leadership è una protesi luttuosa e mitizzante di Chavez. In più, rispetto all’ala più patriottica del chavismo, lui ha da subito visto in Cuba l’unica garanzia di legittimità geo-politica. Il chavismo muore con Chávez perché era di fatto un popolarissimo culto della personalità, una storia di vita affascinate e carismatica innescata sul culto di Simón Bolívar; può sopravvivere come santeria politica, ma il chavismo senza Chávez è come un tank senza benzina. La più grande colpa del chavismo è aver lasciato il potere in mano ai militari in un movimento para-politico.
Nonostante gli indici economici e sociali, c’è ancora chi difende il chavismo dall’Italia. E attribuisce alla Cia e gli Stati Uniti i “tentativi di colpo di Stato” delle manifestazioni di queste settimane. Perché?
Ci sono purtroppo dei precedenti di ingerenze Usa contro il chavismo, tra cui un tentativo di golpe che, fallendo, rafforzò Chávez che usciva dai primi fallimentari anni del suo primo governo. Ma la crisi economica e sociale purtroppo non é un complotto della Cia. Credo che nella testa delle persone ci siano ancora le scorie radioattive della Guerra fredda.
Nel 2007 avevi detto che se fossi stato un fascista degli anni venti, o un venezuelano dei barrios di oggi, avresti votato Chávez senza dubbio. Ma non essendo né l’uno né l’altro lo guardavi con affascinato sospetto. Oggi, alla luce di quello che ha lasciato nel paese, come lo ricordi?
Come il padre sterile di una paese diviso.