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Tutti i fallimenti della Troika secondo Bruegel di Monti e Trichet

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore questo articolo di Marcello Bussi uscito sul settimanale Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Potrebbe essere una riedizione aggiornata dei romanzi satirici di Nikolaj Gogol (scrittore conteso da Russia e Ucraina) sulla burocrazia zarista. Di certo lascia sbigottiti la lettura dell’inchiesta del Centro studi Bruegel, fondato da Mario Monti e presieduto dall’ex presidente Bce Jean-Claude Trichet, sui successi e fallimenti della Troika. Perché i primi in pratica si riducono alla permanenza nell’euro dei Paesi sottoposti alle sue cure (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro). Mentre tutto il resto va a riempire la casella degli insuccessi. «I tassi di disoccupazione e i livelli del debito, sia pubblico che privato, sono ancora molto alti», è la conclusione degli esperti di Bruegel. «Le prospettive di crescita sono ancora insoddisfacenti e troppo deboli per sfidare la disoccupazione. La Grecia è nelle condizioni peggiori con più del 25% di senza lavoro e un debito pubblico al 175% del pil, ma anche gli altri tre Paesi, con disoccupazione intorno al 15% e debito pubblico di circa il 120% del pil, non vanno bene».

I motivi del fiasco sono tanti, primo fra tutti i «moltiplicatori fiscali più grandi del previsto», modo burocratico per dire che gli effetti delle misure di austerità sono stati più pesanti di quanto prevedesse la Troika, e la «valutazione troppo ottimistica delle condizioni iniziali» dei Paesi sottoposti alla cura (come dire che l’equipe di medici pensava che il paziente soffrisse di anemia, mentre si trattava di leucemia). Come se non bastasse, c’è stata una «sottovalutazione della debolezza di alcuni sistemi amministrativi», modo garbato di dire che i membri della Troika sono sbarcati come marziani in Paesi di cui non capivano nulla. Desta inquietudine vedere che all’inizio del programma di aiuti alla Grecia, nel 2010, la Troika aveva previsto che la crescita sarebbe ripartita nel 2012, anno in cui la disoccupazione avrebbe toccato un picco del 14,8%, che non ci sarebbe stato bisogno di ristrutturare il debito e che il rapporto debito pubblico/pil avrebbe raggiunto i massimi al 149% nel 2013, anno in cui Atene sarebbe tornata sui mercati.

Ebbene, dal 2010 a oggi la domanda interna è crollata del 30%, la disoccupazione è sopra il 25% e il pil si è ridotto di oltre il 20%. Ma le vette da teatro dell’assurdo si toccano quando il rapporto Bruegel spiega, senza in apparenza rendersene conto, che il vero colpevole di questo disastro è l’euro: «Anche se il potenziale di crescita si basa su fattori strutturali di competitività, una svalutazione iniziale del tasso di cambio avrebbe potuto dare una spinta alle economie dei Paesi sottoposti ai piani di aiuti, attenuando le conseguenze a breve termine dell’austerità fiscale». Colmo dei colmi, è stata proprio l’unione monetaria ad accentuare i guai dei Paesi membri perché «i grandi flussi di prestiti tramite il sistema bancario hanno consentito di finanziare livelli di debito estero straordinariamente alti». Cose già dette, è vero, ma che le sottoscriva un think tank di stretta osservanza europeista fa impressione. Come è stupefacente che ora la Troika sia stata chiamata dal nuovo governo di Kiev per rimettere in sesto l’Ucraina. Peccato che Gogol sia da tempo nella tomba. Perché ora avrebbe il materiale per scrivere un nuovo capolavoro. Sulle anime morte di Bruxelles.

(riproduzione riservata)

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