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Il fenomeno mediatico del divo Renzi

E’ un fenomeno mediatico più che un politico professionista – altro non ha fatto nella vita che occuparsi della cosa pubblica – il premier girovago recitante il ruolo di protagonista nel film della XVII legislatura, la più comica o, se preferite, stravagante sceneggiatura che sia mai stata scritta dall’inizio della storia repubblicana.
Il divo Renzi promuove se stesso alternando levatacce mattutine a palazzo Chigi – prontamente e direttamente annunciate via social – con gite fuoriporta in visita trionfale nelle scuole, salutate dagli scolari con canzoncine di benvenuto ed insegnanti eccitati e gaudenti: d’altronde è noto come la colonna sonora sia una componente importante di ogni spettacolo che si rispetti.

Che fosse bravo nel confezionare sogni ed aspettative, abilissimo nella narrazione di una storia che metteva al centro l’idea di una possibile rivoluzione nei soggetti e nel modo di fare politica, in particolare rivolta agli elettori del suo partito stremati e sconfortati da continue delusioni, ma al contempo strizzando l’occhio anche a quelli dell’altro campo, è una caratteristica che tutti, trasversalmente gli riconoscono. In primis proprio da colui che prima del guascone rivoluzionò le vecchie liturgie politiche e, da privato imprenditore, vent’anni orsono confezionò in pochi mesi un partito e vinse le elezioni. Molti lo considerano il padre adottivo del neo premier toscano, il modello imitato nei modi e negli atteggiamenti. Geneticamente sembrano talmente compatibili ed affini da far pensare che il Matteo ne sia politicamente il figlio naturale, quello più amato dopo aver ricevuto una cocente delusione da quello legittimo designato alla successione che si è al contrario dimostrato di ben più modesta caratura.

Dopo la “profonda sintonia” del Nazareno, tutto sembrava procedere nella direzione di un copione redatto a quattro mani. Poi all’improvviso lo strappo del fiorentino salutato con alcune critiche ma molta benevolenza dal Cavaliere, l’apertura di credito ed una responsabile opposizione. Renzi continua la sua campagna di autopromozione, poco formale ma efficace, prosegue nella sua recita fuori dagli schemi prestabiliti. Tutto bene, tutto perfettamente in linea con il ruolo rivoluzionario che il copione gli ha riservato nello sviluppo della commedia dell’attuale vita istituzionale. Tuttavia, il secondo tempo del film lo ha portato ad assumere un ruolo che necessariamente comporta una sostanziale differenza rispetto alla recitazione spontanea e disinvolta che la trama gli ha consentito di fare fino all’intervallo della votazione di fiducia. Il rampante sindaco di ieri, oggi è Presidente del Consiglio, ha preteso di avere la penna in mano e si accinge a scrivere nero su bianco le salvifiche ricette che da alcuni anni sapientemente dispensa urbi et orbi da Leopolde fiorentine, libri e da una tournè in caravan girovagando per l’Italia. Il divo telegenico dalla facile parlantina, popolare e populista quanto basta, si ritrova a dover rendere conto con fatti concreti che il suo decisionismo e capacità di leadership è reale, non solo una visione astratta della realtà ed una effimera immagine di sicurezza e determinazione sbandierata grazie ad un indubbio talento naturale.

Continuerà a vestire il giubbotto di Fonzie, alternandolo a formali completi in giacca e cravatta, visiterà scuole accompagnato suo malgrado dalla scorta, darà la sua mail personale agli studenti per consentire loro di scrivergli direttamente, stringerà mani e saluterà il suo pubblico in dolce stil novo con le maniche della camicia bianca arrotolatefino ai gomiti. Tutto questo appartiene al suo status di protagonista principale che ha voluto e costruito sapientemente. Ma il Paese reale, al contrario del Palazzo, non vive in un film dal sapore di commedia americana alla Frank Capra, quel bellissimo“It’s a wonderful life” che tanto ha commosso e fatto sognare milioni di spettatori. E non siamo peraltro nemmeno in America, ma in una Europa che ci schiaffeggia e continua a presentarci il conto sbattendoci in faccia la nostra evanescenza riformista richiamandoci ogni giorno all’ordine

Difficile dire se il divo Matteo abbia davvero preso piena consapevolezza del suo nuovo ruolo, è prematuro esprimere giudizi che non siano viziati ancora dalla sua immagine pregressa e, più di ogni altra cosa se ne sia adatto. Le prime scene del secondo tempo, dalle nomine dei ministri e sottosegretari, agli sviluppi parlamentari di quell’ Italicum che avrebbe dovuto essere granitico nel suo disegno originale e che rischia invece di assumere i grotteschi contorni di un compromesso al ribasso, lasciano piuttosto perplessi ed inducono ad uno scetticismo diffuso che risulta difficile combattere a suon di ottimismo e fiducia.
Aspettiamo, superiamo il sospetto ed il dubbio empirico di questi primi giorni ai quali ci induce la ragione con la fede e la speranza che però, come è noto, non hanno nulla a che vedere con la razionalità essendo stati d’animo da sempre più legati alla sfera dei miracoli.



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