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Il pagamento dei debiti commerciali delle Pubbliche amministrazioni. Istruzioni per l’uso

Il recepimento della Direttiva europea sui tempi dei pagamenti delle PPAA per forniture di beni e servizi non ha risolto il problema dello smaltimento del rilevante stock di debiti scaduti e non pagati (stimato ora da Banca d’Italia in 91 miliardi di euro), né sembra avere del tutto sradicato il fenomeno dei ritardi nei pagamenti anche per il futuro. In presenza di regole (europee e nazionali) non rigorose sulla
contabilizzazione dei debiti commerciali nel debito delle PPAA, le amministrazioni hanno avuto e in parte hanno ancora un forte incentivo a eludere i vincoli del patto di stabilità ritardando il pagamento dei loro debiti e non certificandoli alla scadenza; fronteggiando poi il problema delle penalità previste dalla legge mediante accordi transattivi con i vari creditori, fondati sul ricatto implicito di ulteriori dilazioni nei pagamenti stessi nei confronti di chi non accettasse la proposta di accordo transattivo.

LE ARMI DEL GOVERNO MONTI

Gli strumenti previsti dal Governo Monti, e lo stesso inasprimento delle penalità di ritardato pagamento introdotto in esecuzione della Direttiva europea, non hanno risolto il problema. Il decreto-legge n. 35 del 2013 provvede a disciplinare il pagamento di una prima tranche di 20 miliardi, rinvia al 2014 una seconda tranche di 20 miliardi, nulla dice sugli altri debiti scaduti.
Non è risultata risolutiva neppure l’ipotesi, variamente declinata, di concedere alle nostre imprese anticipazioni bancarie sui loro crediti verso le PPAA. Se l’anticipazione comporta il trasferimento definitivo della titolarità del credito alla banca, l’impresa si addossa l’onere del tasso applicato sullo sconto; e il settore bancario si trova costretto a sommare crediti con tempi di pagamento incerti (quelli
verso le PPAA, solo in parte garantiti dal Fondo Centrale di garanzia) al suo già ingente stock di prestiti in sofferenza e incagliati.

Se invece l’anticipazione non comporta il trasferimento definitivo della titolarità del credito ma solo la sua concessione in garanzia, le imprese aumentano il loro costoso livello di indebitamento verso le banche e sono costrette, in base alla normativa vigente, a rinunciare ad azioni contro la PA inadempiente (col rischio di essere postergate nei pagamenti rispetto a chi invece persegue vie legali o minaccia di farlo). Inoltre, specie in una situazione di credit crunch come l’attuale, queste stesse imprese rischiano di essere spiazzate rispetto alla concessione di crediti ordinari in quanto le banche sono restie ad aggiungere anticipazioni alla massa erogata di prestiti.

SOLUZIONE DRASTICA

E’ quindi necessario adottare una soluzione più drastica: prevedere beninteso che i debiti commerciali non tempestivamente contestati, debbano essere liquidati entro il termine di legge (disposizione già in vigore); ma prevedere anche che, se per qualunque ragione essi non possano essere liquidati, debbano comunque essere certificati e computati nel debito pubblico (e nel Patto di stabilità interno), al
momento della scadenza (e per l’arretrato entro 1 o 2 mesi), prevedendo adeguate sanzioni (anche personali) per chiunque non ottemperi a questi obblighi amministrativi e contabili; prevedere altresì efficaci strumenti ispettivi per rilevare e punire ogni inadempienza.

Sui mercati internazionali, il conseguente aumento contabile dello stock del debito pubblico italiano non dovrebbe provocare eccessive tensioni; esso è, in buona parte, già scontato (in ispecie ora, dopo la pubblicazione della autorevole stima di Bankitalia) e potrebbe essere compensato dall’immagine di maggior pulizia dei nostri conti che il Paese darebbe con l’introduzione delle regole or ora indicate. La recente
apertura della Commissione europea in questo senso (dichiarazione congiunta Rehn-Tajani) ne è una prova.
In sede europea, questa scelta italiana di trasparenza potrebbe essere accompagnata da una triplice richiesta: a) l’inclusione nel bilancio pubblico di tutti gli Stati membri dei debiti delle PPAA scaduti o in scadenza, mediante una modifica delle regole Eurostat; b) l’esclusione (in applicazione di quanto adombrato al Consiglio europeo del giugno 2012) dal bilancio pubblico di tutti gli Stati membri di quella parte delle spese per investimenti pubblici che sono cofinanziati dalla UE o dalla BEI; c) un’attuazione-pilota immediata di questa forma parziale di golden rule ai fini del bilancio pubblico italiano.
Diversamente si pone il problema dal lato del deficit (rectius, indebitamento netto delle PPAA), dove vale il limite del 3% annuale. Mentre per i pagamenti relativi a spese di parte corrente, essi non incidono sul deficit del 2013 se relativi a fatture scadute negli anni precedenti, ciò non vale per i pagamenti relativi a spese in conto capitale, che invece andrebbero ad incidere sull’indebitamento netto dell’anno in corso. Secondo una interpretazione più restrittiva, limitatamente ai debiti in conto capitale, inciderebbe anche sul deficit dell’anno la trasformazione di debiti commerciali in debiti finanziari, come nel caso della cessione dalle imprese alle, anche di crediti verso la P.A..

MISURE E PRECAUZIONI

Le misure da adottare devono essere dunque concepite in modo da saldare subito la maggior parte possibile dei crediti arretrati delle imprese, ma da NON comportare, almeno per la parte relativa alle spese in conto capitale, pagamenti delle PPAA superiori a 6/7 miliardi annui4, in modo da non far crescere il deficit oltre il tetto del 3%. Ai pagamenti delle PPAA andrebbero sommati, ove prevalga l’interpretazione più restrittiva or ora ricordata, la eventuale trasformazione di debiti commerciali in conto capitale in debiti finanziari.
Va inoltre considerato che l’immediato pagamento alle imprese di tutti i crediti scaduti da esse vantati nei confronti delle PP.AA, ancorché limitati a quelli di parte corrente, genererebbe già nel 2013 maggiori entrate da IVA valutabili fra i 4 e i 6 miliardi: nel caso di forniture di beni e servizi alle PPAA, le imprese fruiscono infatti del beneficio della sospensione d’imposta. Questa maggiore entrata, non prevista nel bilancio 2013, potrebbe essere impiegata a copertura di spese una tantum (cassa integrazione in deroga, rinvio dell’aumento dell’IVA, sospensione dell’IMU, esodati, missioni militari all’estero, ecc.) che il nuovo Governo dovrà affrontare e che attualmente non sono finanziate nel bilancio del 2013.

LE ALTRE PROPOSTE

In quest’ottica vanno valutate e delimitate anche alcune delle proposte sul tappeto. Per il pagamento di debiti pregressi, la compensazione crediti scaduti/imposte andrebbe esclusa o limitata al minimo: incidendo comunque sulle entrate, aumenterebbe il deficit dell’anno in corso. Tale compensazione, nella forma di compensazione fra crediti commerciali e debiti tributari nei confronti della medesima amministrazione pubblica, potrebbe invece essere utilizzata per fluidificare il pagamento dei nuovi debiti (ossia i debiti commerciali relativi al 2013) e, dunque, per garantire l’effettiva applicazione della nuova direttiva. Nel caso dei debiti riferiti al periodo corrente, la compensazione ha infatti effetti neutrali sulla dinamica del deficit.

Certamente utile – entro i limiti predetti – è la revisione dei meccanismi del Patto di stabilità interno in modo da consentire alle PPAA con avanzi di amministrazione o altre liquidità di utilizzarli per saldare i debiti commerciali arretrati. Vale tuttavia la pena di sottolineare che, per le ragioni anzidette, questa revisione andrebbe utilizzata per saldare i soli debiti di parte corrente, in modo da non incidere sul deficit dell’anno in corso.

DEBITI, REGIONI E ENTI LOCALI

Entro gli stessi limiti, è utile il finanziamento dei debiti arretrati mediante emissione di titoli pubblici, ancorché più agevolmente praticabile (senza rischi di duplicazione) per i debiti delle amministrazioni dello Stato (una quota relativamente modesta dello stock).
Nel caso delle Regioni e degli enti locali occorre ovviamente evitare ogni soluzione che addossi l’onere del finanziamento degli arretrati all’intera platea nazionale dei contribuenti; soluzioni del genere penalizzerebbero, infatti, le amministrazioni virtuose e rischierebbero di alimentare forme di irresponsabilità o di azzardo morale per il futuro (alla fine provvede Pantalone!).
E’ dunque necessario prevedere un meccanismo che soddisfi tre criteri: (i) consenta alle imprese di incassare subito il saldo della maggior parte possibile di debiti arretrati, compresi tutti i debiti di parte corrente; (ii) non leda il limite massimo del deficit pubblico; (iii) non esoneri ogni amministrazione dal relativo onere, sia pure, ove necessario, diluendo nel tempo (3/10 anni) il percorso di rientro dal debito eccessivo, attraverso un’opportuna rimodulazione dei tetti di indebitamento
consentiti a quella stessa amministrazione (che andrebbero nell’immediato aumentati di una quota pari allo stock di debito arretrato di ciascuna amministrazione, e poi diminuiti annualmente in modo da completare il percorso di rientro alla scadenza prevista).

NEL DETTAGLIO

In sostanza, una volta imposto (e fatto rispettare con sanzioni pesanti e controlli ispettivi efficaci) l’obbligo della contabilizzazione e certificazione di tutti i debiti scaduti (come sopra proposto), basterebbe probabilmente: a) disporre che i “limiti massimi” di indebitamento imposti dal Patto di
stabilità interno a ciascuna P.A. siano temporaneamente aumentati (anche in virtù del computo immediato nel debito pubblico) in misura pari ai debiti commerciali arretrati di ciascuna, con un percorso di “rientro” scaglionato in 3/5 anni; b) prevedere un adeguato meccanismo di garanzia sussidiaria dello Stato sui crediti certificati di parte corrente acquistati dalle banche o da altri intermediari finanziari. Dal lato dello Stato, questa garanzia NON inciderebbe sul deficit e sul debito pubblico, perché si tratterebbe di una garanzia del pagamento di debiti già contabilizzati nel deficit e nel debito pubblico. Dal lato delle banche, questi crediti, in quanto garantiti dallo Stato, peserebbero in modo limitato sui coefficienti patrimoniali ai sensi delle regole di Basilea 3; inoltre, essi potrebbero essere usati –
analogamente all’esperienza spagnola – come collaterali per i finanziamenti presso la BCE;
c) prevedere che le PPAA siano tenute a negoziare con le banche o gli altri intermediari acquirenti una ristrutturazione dei predetti debiti su un arco temporale non eccedenti i 5 anni; prevedere che le PP.AA. abbiano una sorta di diritto alla “portabilità” del debito, nel senso di poterlo ristrutturare con istituti di credito di fiducia, che avrebbero il diritto di subentrare alla banca acquirente rimborsandola del costo di acquisto e di ogni altro onere; la garanzia dello Stato, la portabilità del debito, e la speciale way out di cui al successivo punto d, consentirebbero alle banche di accontentarsi di tassi di interesse moderati sul credito così ristrutturato; d) prevedere che le banche eventualmente in difficoltà possano cedere a CDP questi crediti, entro limiti annui predeterminati (3/5 miliardi?), quando la PA
interessata non pagasse alla scadenza gli interessi e le rate di ammortamento, attribuendo in tal caso per legge a CDP lo stesso strumento di garanzia di cui oggi dispone per i mutui agli enti locali (delegazione di pagamento a valere su alcune delle entrate di bilancio, tra cui le imposte). A richiesta della PA interessata, CDP potrebbe ristrutturare ulteriormente il credito su un arco temporale più lungo (20-30 anni); e potrebbe (come già fatto in passato per i mutui dotati della garanzia della delegazione di pagamento) utilizzare i crediti come collaterali per acquisire liquidità dalla BCE (che li considera, in ragione della predetta garanzia, collaterali pregiati, sui quali opera modesti hair cut).

Ovviamente la legge non potrebbe stabilire un diritto delle banche a vendere né un obbligo di CDP a acquistare i crediti in questione, altrimenti potrebbe tornare in discussione la classificazione Eurostat di CDP al di fuori del perimetro delle PP.AA. (con relativo venir meno del deconsolidamento del debito di CDP dal debito pubblico). Ma tale obbligo potrebbe essere l’oggetto di una convenzione fra CDP e
l’Associazione bancaria italiana. I vantaggi della soluzione proposta sembrano evidenti:
1) tutte le imprese verrebbero pagate subito per l’intero ammontare del loro stock di crediti, almeno di parte corrente;
2) le PPAA resterebbero responsabili della copertura finale dei loro debiti (eliminazione di forme di azzardo morale) ma avrebbero 5 anni per smaltire l’arretrato e avrebbero il tempo per riassestare i loro bilanci o per cercare altre soluzioni (per es. dismissioni di asset);
3) per i crediti in conto capitale il pagamento avverrebbe invece nei tempi, con le procedure e nei limiti stabiliti dal decreto-legge n. 35/2013, in modo da rispettare il limite del 3% dell’indebitamento netto, secondo l’interpretazione più rigorosa delle regole di calcolo del medesimo;
4) il pagamento dell’intero ammontare dei debiti di parte corrente da parte delle banche genererebbe entrate IVA non previste per 4/6 md. utilizzabili per coperture una tantum, tipo rifinanziamento della cassa integrazione e delle missioni internazionali all’estero);
5) il sistema creditizio-finanziario concorrerebbe alla soluzione del problema in termini sostenibili;
6) l’eventuale intervento di CDP sarebbe sussidiario, diluito nel tempo e neutrale dal punto di vista del debito e del deficit.

A quest’ultimo proposito, si consideri che, in caso di intervento di CDP a valere su liquidità del conto corrente di tesoreria e non su provvista BCE, aumenterebbe bensì il debito da coprire mediante ricorso al mercato (attraverso collocamenti aggiuntivi di titoli diluiti nel tempo e forse riservabili alla ricchezza nazionale con emissioni speciali nell’ambito del progetto di rilancio della crescita), ma diminuirebbe di altrettanto il debito dello Stato verso CDP. In ogni caso il ricorso al mercato sarebbe inferiore a quello previsto dal recente decreto-legge sul pagamento dei debiti arretrati delle PP.AA.
Riguardo invece al punto 2), si consideri che le PPAA, eventualmente incapaci di far fronte ai pagamenti già ristrutturati mediante un riassetto dei loro bilanci, potrebbero valorizzare e cedere asseti immobiliari e mobiliari di loro proprietà (e avrebbero il tempo per farlo). Tali asset potrebbero eventualmente essere conferiti ad appositi fondi (gestiti dall’Agenzia del demanio, o da CDP, o da altri) fino a saldare il debito residuo e a corrispondere i relativi interessi. L’attivazione di questi meccanismi avrebbe anche il vantaggio di porre le basi per future operazioni straordinarie di abbattimento del debito pubblico.

Il temporaneo allentamento del Patto di stabilità interno potrebbe, a esempio, essere graduato in funzione di programmi di dismissione a tempi prestabiliti e vincolanti delle attività
proprietarie detenute dalle varie PPAA. Nel medio periodo, l’immediata liquidazione dei debiti delle PPAA potrebbe così sortire l’effetto paradossale (ma, non per questo, meno positivo) di portare a una riduzione anziché a un aumento del debito pubblico.

(progetto elaborato nel maggio 2013)

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