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Indietro non si torna. Fini, la destra e la modernità.

L’intervento di Gianfranco Fini a proposito del “congresso di Patroclo”, quello nel quale Fratelli d’Italia ha cercato di appropriarsi delle armi di Achille, probabilmente andando incontro a una sorte non migliore di quella dell’eroe omerico, ha destato comprensibili echi polemici, con risposte risentite ed un po’ acide da parte degli interessati, ed anche qualche nostalgia negli ambienti che potremmo definire finiani. Diciamo la verità, ci siamo trovati un po’ tutti come nel Canto IV dell’Inferno, a dire “Onorate l’altissimo poeta: l’ombra sua torna, ch’era dipartita”. Idea irriflessiva ed errata per almeno due ottime ragioni: la prima è che Fini è tutt’altro che un’ombra e non è dipartito affatto, anzi sta dando con umiltà il suo contributo di idee e di rifflesioni ad un  mondo che ne ha bisogno, lo sappia o no. La seconda è che significa avere capito molto poco di Fini e del suo lavoro di cinque lustri al servizio della destra politica italiana per invocarne il ritorno in sala comando.

Il mio problema, da giovane cittadino italiano che coltiva una storia e dei valori di destra, non è quello di costruire il Parco della Rimembranza; e mi permetto di dire che a me interessa davvero poco se Fratelli d’Italia vuole riesumare un simbolo in formato francobollo o maxi, se celebra le proprie assise congressuali a Fiuggi piuttosto che a Montecatini: il problema sono i termini, non le terme. A giusto titolo Isabella Rauti, la figlia dell’uomo che con coerenza e dignità rifiutò a suo tempo la svolta di Fiuggi, si ritrova oggi pienamente nelle parole d’ordine di Giorgia Meloni. Perché, al netto della retorica d’occasione, quelle parole d’ordine sono una fuga nella macchina del tempo, il richiamo della foresta della “protesta antisistema”.

Stiamo cioè parlando del vecchio Movimento Sociale, per giunta non nella fase più gloriosa della sua storia; per giunta senza un uomo come Giorgio Almirante; per giunta con in più un legame di aperto vassallaggio con Silvio Berlusconi, che come antisistema non è proprio credibilissimo. Un rinculo al pre-Alleanza Nazionale, il ritorno ad una Casa dei Padri che è da tempo diruta se non nell’omaggio dei nostri cuori, che ha poco da dire al tempo moderno e per giunta scopiazza  cerca di cavalcare uno “stato d’animo” che in Italia ha interpreti di maggior successo, a partire da Beppe Grillo per finire alla Lega.

Questa è la destra? Certo che no. È solo una modulazione di particolare becerume di una pulsione identitaria insensata e mitologica. Per me, di destra, è vitale non perdere il contatto con l’europeismo maturo, con la logica del merito, con le conquiste di laicità e di civiltà che il nostro mondo ha compiuto. Fini è stato il capomastro di questo lungo e faticoso cantiere; ora è tempo che ci siano tanti nuovi muratori, e dobbiamo essere noi. Ammiro Gianfranco Fini, anche per l’onestà senza infingimenti con cui conduce le sue riflessioni critiche ed autocritiche. Ma non commettiamo l’errore di salire sulla stessa macchina del tempo di Giorgia e Ignazio. Da noi si dice che chi vuole Gesù se lo preghi; senza parafrasi blasfeme, è il caso di dire che chi vuole Fini se lo meriti, costruendo le condizioni –culturali, politiche, elettorali- perché il suo grande contributo possa essere il più efficace e fruttuoso possibile. Fini c’è, adesso i finiani rispondano all’appello e diano il proprio contributo per costruire la destra del futuro.


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