Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Tutte le ex repubbliche asiatiche, un tempo nell’Urss, sono favorevoli alla linea scelta da Vladimir Putin e la stessa Cina ha manifestato pubblicamente il suo supporto per lo Zar di Mosca. Putin, insomma, può contare sui capitali e sulla liquidità disponibile a Pechino e nella capitali asiatiche e sicuramente anche sulla liquidità iraniana parcheggiata tra Hong Kong e gli Emirati.
Un braccio di ferro finanziario tra Usa e Russia, tutto giocato sul filo del movimento dei capitali, appare, questa volta, molto meno probabile. Se gli investitori occidentali escono in massa dagli asset denominati in rubli per fare pressione su Mosca sul dossier Ucraina, in soccorso delle finanza di Putin scenderebbero in campo cinesi, kazaki e fondi sovrani di mezza Asia.
Ecco spiegato perché, dopo un lunedì molto volatile anche nella borsa di Mosca ed un rublo fortemente penalizzato nei cambi, la settimana finanziaria russa si è chiusa senza eccessivi scossoni. Lo strapotere americano finanziario, lo stesso che ha indirizzato il mondo per oltre due decenni e che molto ruolo ha avuto anche nel 2010/2011 nella crisi dell’eurozona, stavolta non esiste nella stessa dimensione quantitativa.
Allora la crisi Ucraina va analizzata al di là del contingente della Crimea ed inquadrata nel contesto globale delle nuove relazioni internazionali. Sebastopoli, va dato per scontato, sarà nuovamente russa. La Russia paga qualcosa come un miliardo di dollari all’anno alla Crimea per il diritto di utilizzare la sua base navale per un accordo che nel 1994 l’Ucraina rivide unilateralmente per ridurre l’autonomia della Crimea. Ora la debolezza di Kiev permette a Putin di ristabilire del regole delle leggi firmate al momento del crollo dell’Urss.
Quello che conta, però, è la formazione, già registratasi nella crisi siriana, di un solido asse asiatico tra Mosca e Pechino. Gli interessi occidentali in Ucraina sono diversi, non soltanto da quelli di Putin, ma anche da quelli delle altre potenze regionali asiatiche. Uno schema di gioco che tira in ballo la Germania con tutti i suoi interessi commerciali globali.
Angela Merkel non può giocare duro con Putin come può permettersi di fare Barack Obama. Adesso sta al gioco, ma se la situazione dovesse sfuggire di mano, Berlino sarebbe costretto ad indossare i panni della colomba perché i suoi interessi economici ed energetici asiatici e russi non coincidono con quelli americani.
Cosa devono aspettarsi gli investitori? Tanti negoziati diplomatici e un Putin che, non potendosi permettere di uscire sconfitto dalla crisi Ucraina tutta giocata sul suo uscio di casa, dovrà comunque ottenere qualcosa da Kiev e dagli occidentali. Ma per i mercati non ci sarà nessun ottovolante.
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