Bravo Renzi, però… Ci sono molti però, secondo Michele Tiraboschi, sul pensiero e sull’azione di Matteo Renzi.
Tiraboschi, docente di diritto del lavoro e relazioni industriali all’università di Modena e allievo di Marco Biagi, è stato in passato anche collaboratore di Maurizio Sacconi al ministero del Welfare.
Con Tiraboschi, Formiche.net approfondisce annunci e premesse del segretario Pd su lavoro, contratti e contrattazione.
Prof, con Renzi è finita la concertazione, dicono in molti. Ma di fatto non c’era più da tempo, vero?
Il superamento della concertazione è iniziato nel 2001 con la pubblicazione del Libro Bianco di Marco Biagi. In quella stagione concertazione significava unanimità nelle relazioni industriali e, in particolare, diritto di veto da parte della Cgil che si era opposta prima alla riforma del contratto a termine e poi, in blocco, alla riforma del mercato del lavoro intitolata alla memoria del professore bolognese. E’ da quel momento che il meno rigido dialogo sociale ha preso il posto della vecchia concertazione all’italiana dando per scontato un processo di modernizzazione delle regole del lavoro anche senza il consenso un attore importate come la Cgil.
Sarà pure finita la concertazione, però Renzi cerca una sponda con Landini e la Fiom, e la trova, mentre fa irritare Camusso alla quale però dona, pare, il taglietto Irpef. Sbaglio?
La verità è che il sindacato – o almeno una parte di esso – non ha fatto poi molto per non farsi mettere con le spalle al muro da Renzi che sa bene come oggi sia popolare quella posizione antisindacale che, non ha caso, è stata a lungo cavalcata da Grillo. Gli errori del passato nel capire le trasformazioni in atto e nel governare il cambiamento hanno portato il sindacato lontano dalle persone e dalle loro esigenze di vita e tutela.
Comunque la Cgil minaccia scioperi.
Camusso può dunque ben minacciare lo sciopero generale, ma il rischio di un clamoroso flop e di un imbarazzante boomerang è sotto gli occhi di tutti a partire da Landini che, in questa fase, dà sponda a Renzi perché questo lo rende forte nel contenzioso che la Fiom ha aperto contro la dirigenza della Cgil.
Noto che critici “storici” della concertazione come l’ex ministro Sacconi, con cui lei ha collaborato al Welfare, ora la difendono un po’ esaltando il valore dei corpi intermedi. Che succede?
Io vedo un’estrema coerenza di posizioni. La centralità della persona e i valori della sussidiarietà e del pluralismo hanno come baricentro un serrato confronto tra Stato e corpi intermedi che però è ben altra cosa rispetto a un diritto di veto che qualcuno degli attori del sistema di relazioni industriali pensa di poter utilizzare a ogni piè sospinto. Non a caso tutte le riforme del Governo Berlusconi sul lavoro sono avvenute a seguito di complessi accordi di concertazione ancorché senza la firma della Cgil.
Ecco, appunto…
Ma a differenza di molti tecnici impegnati al Ministero del lavoro in questi anni io stesso non mai pensato di poter costruire a tavolino le leggi del lavoro quanto di consultare sistematicamente tutti gli attori sociali per trovare in chiave tecnica un punto ragionevole di mediazione tra le molteplici posizioni sul tavolo del confronto. Questo è il metodo delle relazioni industriali che nel trilateralismo e nella sussidiarietà ha i propri valori fondanti.
Enzo Mattina, già sindacalista Uil, poi europarlamentare del Psi, ora vicepresidente del gruppo Quanta (lavoro interinale) su Formiche.net ha scritto: caro Matteo Renzi, lascia perdere le grandi rivoluzioni, i Jobs Act e concentrati su interventi più utili e fattibili. Condivide?
Le grandi rivoluzioni sono sempre culturali mai normative e Renzi dovrebbe saggiamente concentrarsi su questo aspetto visto l’ampio consenso di cui gode nel Paese.
Entriamo nei dettagli. Renzi propone, per esempio, un sussidio universale di disoccupazione condizionato dall’accettazione, da parte del sussidiato, di un percorso formativo e se del caso di una offerta congrua di altro posto di lavoro. Che ne pensa?
Forse Renzi non sa che questa cosa è già scritta nero su bianco nella legge Biagi ma da dieci anni nessuno riesce a renderla effettiva al pari dell’apprendistato come contratto a tutele progressive e così per tante altre proposte abbozzate nel Jobs Act. Per riattivare il mercato del lavoro nuove leggi non servono: come abbiamo visto con la riforma Fornero e il pacchetto Giovannini, quello che ancora mancano sono le politiche attive e il rilancio della formazione ed è su questi grandi temi che Renzi dovrebbe concentrare gli sforzi.
A proposito di Jobs Act, se sarà confermato il ruolo “incentivato” e con flessibilità maggiore in uscita del contratto a tempo indeterminato, applaudirà o meno Renzi?
Chi segue i cambiamenti del mercato del lavoro sa che ad essere superato non è solo il contratto di lavoro stabile e per una carriera, ma prima ancora la stessa nozione di lavoro subordinato su cui si è retto, in epoca fordista, il sistema di relazioni industriali del secolo scorso. Rottamare il sindacato e la concertazione per poi riproporre, con il contratto unico a tempo indeterminato, il modello unificante della rappresentanza sindacale del passato non è certo un modo lungimirante ed effettivo per cambiare verso. Saremo punto e a capo nel processo di modernizzazione del mercato del lavoro avviato venti anni fa e non ancora concluso.
Altri consigli in vista del Jobs Act?
Nessun consiglio quanto una semplice constatazione che peraltro contraddice l’idea del contratto unico. Da quando Renzi ha aggiunto una “s” al Job Act inizio a vedere una fortissima analogia con il Libro Bianco di Marco Biagi del 2001 quando si proponeva di cancellare il vecchio Statuto dei lavoratori e scrivere un nuovo Statuto dei lavori al plurale. E in effetti, tradotto dall’inglese, il Jobs Act si rende al meglio proprio con l’espressione “Statuto dei lavori”. Da qui dobbiamo ripartire per entrare nel futuro e recuperare il tempo perso in quindici anni di veti e contrapposizioni ideologiche: lasciamo perdere la vecchia tecnica di riforma dei contratti di lavoro e concentriamoci, anche grazia un rinnovato raccordo tra scuola e lavoro, sui mestieri, sulle professioni e sulle competenze di cui devono essere dotate le persone per essere occupabili e utili alle imprese che li assumono.