Le imprese familiari hanno retto bene alla crisi. Lo testimonia la Bocconi presentando i dati della quinta edizione dell’Osservatorio sulle aziende familiari, promosso da AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari) e dalla Cattedra di Strategia delle Aziende Familiari. Le imprese a proprietà familiare hanno registrato negli ultimi cinque anni crescite di giro di affari e di parametri reddituali mediamente migliori rispetto alle aziende non familiari. Tuttavia, se l’analisi si sposta al dettaglio delle governance o dei settori, la musica cambia.
FAMIGLIA S’, FAMILISMO NO
Le aziende che adottano modelli di governo pure family mostrano performance superiori a quelle che adottano un modello mixed o pure outside. Dunque, la famiglia fa bene all’impresa, ma a patto che sia libera di esprimersi in una cultura non familistica. I legami familiari, misurati con parametri che vanno dalla fiducia nei membri della famiglia al rispetto nei confronti dei genitori, al renderli fieri, allo spirito di sacrificio, fino all’importanza della famiglia nella vita hanno una diversa rilevanza nelle varie aree del Paese, e giocano un ruolo molto importante nel determinare il comportamento delle aziende familiari.
LA GEOGRAFIA DELLE IMPRESE FAMILIARI
Attenzione però, a non farne una stereotipata geografia Nord-Sud: la family logic è forte in Lombardia ed Emilia come in Campania e Sicilia. Molto forte in Puglia, Lucania e Calabria. Debole in Piemonte in tutto il Nord-est, in Toscana e Lazio. E i modelli familiari di governance hanno un impatto positivo sulle perfomance nelle regioni in cui le logiche familiari sono più deboli. “Si può ipotizzare che i componenti della famiglia coinvolti negli organi di governo siano selezionati più sulla base di logiche meritocratiche che non in virtù dell’appartenenza alla famiglia di controllo”, scrivono i ricercatori della Bocconi. La famiglia è sacra, dunque, ma non la sua logica.
QUANTO CONTA IL CAPITALE ESTERNO
Un’altra chiave del successo è l’apertura del capitale: aumentare le competenze per fare acquisizioni e non aver paura del private equity. Quanto all’m&a, le 878 operazioni di acquisizione effettuate nel corso degli ultimi 13 anni, il 57,5% in Italia e il 42,5% all’estero, hanno visto come protagoniste per lo più aziende di grandi dimensioni e con una quota di controllo familiare inferiore. I comparti predominanti sono il manifatturiero e il commercio all’ingrosso, nei quali si colloca il 61,9% delle operazioni.
LE CHIAVI DELLA CRESCITA
Infine, il private equity: nel periodo tra il 2001 e il 2011 si sono registrati in Italia 1.030 deal; le operazioni avvenute hanno avuto a oggetto 779 aziende target, il 38,4% delle operazioni avvenute nel periodo considerato ha riguardato aziende target con un fatturato superiore a 50 milioni di euro. Le aziende oggetto di investimento hanno sperimentato una forte crescita, in particolare nei casi in cui il private equity ha acquisito quote di minoranza. Nei tre anni successivi all’operazione il numero dei dipendenti nelle aziende dove è entrato il private equity con una quota di minoranza è aumentato del 126%, i ricavi del 58% e i totali attivi del 91,5%. Ma anche dove il private equity ha una quota di maggioranza, i tre parametri mostrano una crescita rispettivamente dell’80%, del 46,6% e dell’84,4%.
ENERGIA E COMMERCIO IN TESTA
Ma a che settore appartengono le società familiari che hanno registrato la miglior performance in termini di crescita del fatturato? Secondo le risultanze dell’Università Bocconi, il migliore in assoluto con una crescita cumulata tra il 2007 e il 2012 del 66% è quello dell’energia, seguito dal commercio al dettaglio (+46,3%) e dal commercio all’ingrosso (36%). I trasporti hanno segnato un incremento del 18,5% e il manifatturiero del 16,8%. Il bilancio è nettamente positivo anche per i servizi e le attività finanziarie e immobiliari, nonostante tutti i settori abbiano registrato cali del fatturato a due cifre nel biennio 2008-2009 e decelerazioni più modeste nel biennio 2011-2012. Mentre a segnare un bilancio negativo nei cinque anni sono le costruzioni (-2,7%) e il commercio di autoveicoli (-12,5%).