Non condivido personalmente il ddl sulle dimissioni in bianco perché rischia ancora una volta di essere una pura battaglia politica e demagogica contro la norma che in pochi anni ha visto contrapposizioni politiche e scorribande a danno delle lavoratrici e non a salvaguardia di esse. Infatti non si tratta di disposizioni per la risoluzione consensuale del contratto di lavoro per dimissioni volontarie che comunque per le lavoratrici madri e i lavoratori vengono accertate dal procedimento previsto già dal Testo Unico 151-2001, poi rafforzato dalla legge 92/2012 che prevede l’obbligo della convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro avvenuta nei primi tre anni di vita dei bambini.
Ma trattasi della reintroduzione dei moduli numerati validi 15 giorni e resi disponibili dagli uffici territoriali del lavoro che già da ora insieme agli ispettori dunque pubblici ufficiali, sono chiamati comunque a vigilare sulle dimissioni per le lavoratrici e i lavoratori. Sulle dimissioni infatti i soli dati certi e non giornalistici sono disponibili dal Rapporto Annuale che proprio il 15 di aprile presenteremo come Ministero del lavoro e delle politiche sociali e relativi all’anno 2013 e alle lavoratrici e lavoratori madri e padri. Lavoro che vede impegnate anche le consigliere di parità a fianco degli ispettori proprio a tutela della prevenzione delle discriminazioni. E’ indubbio che il fenomeno delle dimissioni in generale sia presente ma è da addebitarsi principalmente alla crisi economica che è evidente e alla situazione sociale che ancora molto grave e non di facile soluzione.
Per questa ragione è necessario monitorare i dati con fonti accreditate e soprattutto semplificare il contesto in cui ci troviamo ad operare non ritornando su posizioni conflittuali che danneggiano il percorso riformatore in atto. Sono dell’opinione che l’ultimo provvedimento assunto dalla legge Fornero per le dimissioni delle lavoratrici e lavoratori genitori, pur essendo complicato ed entrato in vigore solo dal 2012, tutela sicuramente tutti i lavoratori e le lavoratrici in quanto permette, se non confermate le dimissioni da un accertamento degli ispettori, di essere annullate poiché presumibilmente estorte e dunque non lecite.
Vero è invece che l’aumento di questa tipologia di dimissione quest’anno convalidate dagli uffici territoriali riferite all’anno 2013 nei primi tre anni del bambino registra un aumento del 23% rispetto all’anno 2012 ed è collegato soprattutto all’aumento del numero di madri dimissionarie ma soprattutto quelle dei padri che è triplicato in conseguenza dell’introduzione della norma anche per loro e per l’aver ampliato il periodo di monitoraggio riferito agli anni del figlio che da 1 sono passati a tre. E le motivazioni sono riconducibili si badi bene, in scala, ad abbandono del lavoro dopo il primo figlio perché non riescono a conciliare il tempo di cura e di lavoro, costano troppo i servizi per il neonato, non ci sono posti al nido, non hanno parenti disponibili, non sufficienti strutture di servizi ma anche passaggio ad altra azienda o chiusura di attività aziendale.
Dunque motivazioni miste tra familiari e aziendali che oggettivamente rappresentano le effettive situazioni di difficoltà ma che non dimostrano che comunque ed erroneamente l’impresa è ostile verso le donne e usa le dimissioni in bianco come una clava. In questo momento poi dobbiamo essere tutti impegnati ad una autentica riforma prevista dalla legge delega per agevolare l’occupabilità femminile e non ritornare a vecchi pregiudizi di ostilità e di discriminazione a prescindere nei confronti delle donne che rischiano, ancora una volta di rimanere fuori dal mercato del lavoro.
Sono convinta che le pari opportunità sono soprattutto politiche attive e i fenomeni di discriminazione si contrastano non con delle pregiudiziali che non incoraggiano sicuramente le imprese ad assumere donne e giovani, e con inasprimento delle burocrazie per tutte le aziende, svuotando di valore di principio e di fatto la convalida delle dimissioni volontarie presso le Direzioni territoriali del lavoro, procedura che tutt’ora tutela le donne madri e i padri che, anche rispetto ai congedi parentali sono spesso soggetti a difficoltà aziendali per accudire i propri figli.
L’occupabilità femminile si sostiene agendo sul territorio a fianco delle imprese facendo conoscere le norme già in vigore sull’inserimento lavorativo, sostenendo il reddito della lavoratrice e del lavoratore che si assenta per cura famigliari, introducendo il sistema dei fondi bilaterali sia contrattuali che agganciando la produttività alla flessibilità, conciliazione lavoro/cura prevedendo così agevolazioni fiscali e agendo insieme con tutti gli operatori del mercato del lavoro anche a sostegno del sistema incontro domanda e offerta ,formazione qualificazione, agendo coerentemente dalla parte delle donne e del lavoro.