Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
A passi lenti e felpati, avanza in Europa l’Unione bancaria. L’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ne era entusiasta, tanto che definì «un risultato storico, paragonabile per importanza alla fondazione dell’unione monetaria» l’accordo raggiunto a Bruxelles il 19 dicembre 2013 sui criteri base per il salvataggio delle banche in crisi.
LE PAROLE DI VISCO
Su alcuni di questi criteri si è soffermato tre giorni fa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua «lectio magistralis» a Pavia, spiegando che il Fondo unico di risoluzione a cui saranno affidati i salvataggi bancari sarà finanziato dalle stesse banche e raggiungerà la sua piena dotazione di 55 miliardi in otto anni. Per Visco, una tappa importante nel «processo graduale di rafforzamento dell’Unione economica e monetaria».
LE DOMANDE
Ma basteranno 55 miliardi per salvare le banche in crisi? Le sofferenze dichiarate sono almeno dieci volte tanto, per cui è lecito chiedersi dove si potranno prendere i soldi necessari per i salvataggi, almeno per le banche che il Comitato europeo per la gestione del Fondo di risoluzione deciderà di sottrarre al fallimento. Già, dove?
L’OPINIONE DI TREMONTI
Una risposta la fornisce Giulio Tremonti nel saggio appena mandato in libreria («Bugie e verità. Le ragioni dei popoli»; Mondadori), e fa accapponare la pelle. I soldi per salvare le banche, sostiene l’ex ministro dell’Economia, non saranno prelevati più dai bilanci statali, né dai forzieri delle banche centrali, bensì direttamente dai risparmi depositati negli istituti di credito in crisi. Questa operazione viene definita in gergo tecnico «bail-in», termine che tradotto in italiano significa «salvataggio interno». Scrive Tremonti: «Se una banca salta, i suoi creditori dovrebbero essere alla fine pagati non solo dai suoi azionisti, ma anche da chi, presso la banca, ha depositato i suoi risparmi. Significa la rottura del rapporto fiduciario tra banca e cliente correntista-risparmiatore. E per proteggere il ‘sistema’ si pensa di autorizzare la distruzione del risparmio come valore fiduciario e costituzionale».
CHI LAVORA ALL’UNIONE BANCARIA
Questo, e non altro, sarà la tanto decantata Unione bancaria, assicura l’ex ministro. Al progetto stanno lavorando alacremente la Banca centrale europea, la Commissione europea e il Parlamento europeo, almeno per quel poco che conta in materia monetaria. Ma perché si parla di salvataggi bancari? si chiede Tremonti. La Bce e l’Unione europea non hanno forse detto che il picco della crisi è ormai alle nostre spalle, e che l’euro è stato salvato? Tutte frottole.
LE VERITA’ TREMONTIANE
La verità, sostiene Tremonti nel suo libro, è che «si continua a tacere la ragione per cui gli Stati avrebbero dovuto essere salvati. La crisi dei debiti sovrani non è la causa, ma l’effetto della crisi dei debiti privati, come il governo italiano ha sempre fatto notare tra il 2008 e il 2011 in Europa». Traduzione: a provocare la crisi economica non sono stati i debiti degli Stati sovrani, che in Europa erano sotto controllo (compresa l’Italia del governo Berlusconi), bensì le speculazioni sui derivati delle banche-casinò. «Eppure le perdite non sono mai state addebitate a chi le ha prodotte (le banche), perché si diceva che erano troppo grandi per fallire davvero».
UNO SGUARDO AL PASSATO
Per questo, a partire dal 2008 – ricostruisce l’ex ministro – le prime perdite sono state accollate agli Stati, sia negli Usa che in Europa, con costosi salvataggi di banche e assicurazioni. E quello è stato «il primo mostro», metafora da wargame tipica di Tremonti. Ma la crisi non era affatto risolta. Anzi, ne è arrivata un’altra ancora più grave, perché i banchieri non si fidavano più tra di loro, e si negavano i prestiti da banca a banca. A questo «secondo mostro» l’Europa ha risposto con i fondi della Bce, mille miliardi di euro a tassi di poco sopra lo «zero virgola», distribuiti direttamente alle banche invece che agli Stati poiché così impongono di fare i Trattati europei, viziati da clausole a dir poco demenziali. Fondi ai quali è seguito l’impegno di Mario Draghi, presidente della Bce, a fare tutto il necessario per sostenere l’euro, compreso l’acquisto di titoli sovrani. Una mossa che ha calmato i mercati, almeno finora.
QUALI RISCHI SI CORRONO
Ma poiché i fondi della Bce non sono illimitati, ecco ora l’ipotesi tremontiana del «terzo mostro», vale a dire il rischio dei fallimenti bancari. Un rischio finora tenuto sotto il tappeto, ma mai scongiurato per il semplice fatto che le operazioni sui derivati delle maggiori banche europee, Deutsche Bank in testa, nel 90 percento dei casi non avevano il sottostante, erano cioè scommesse allo stato puro, destinate a provocare alla scadenza dei buchi di bilancio colossali. Basta pensare che i derivati costituiscono il 50 per cento degli asset di Deutsche Bank, come ha spiegato più volte l’economista Paolo Savona.
COME DISTRUGGERE IL “TERZO MOSTRO”
A quali mezzi si può fare ricorso per sconfiggere il «terzo mostro»? «Non ai bilanci pubblici, che ormai sono esausti» risponde Tremonti nel suo libro. «Non alla creazione di liquidità, impossibile da proseguire. Di risulta, si pensa di fare ricorso al bail-in». In pratica, di mettere le mani sui risparmi dei clienti delle banche in crisi. Una soluzione che, man mano che i criteri dell’Unione bancaria saranno resi di dominio pubblico, potrebbe spingere molti clienti a cercare rifugio nelle banche più forti, o considerate tali, sia nel proprio Paese che altrove in Europa.
«Naturalmente sarebbero salvi i depositi sotto una certa dimensione, e sarebbero salvi i sacri derivati» scrive Tremonti con una punta di veleno verso le banche-casinò, ricordando il precedente delle banche fallite a Cipro, a suo giudizio usato come «prova generale, tipo Guernica», la città basca rasa al suolo nel 1937 dai nazisti alleati di Francisco Franco per testare l’efficacia dei bombardamenti aerei. «Per inciso, prima dell’Europa, nella nostra Costituzione era scritto: ‘La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme’ (art. 47). Ora non sarà più così, perché le regole europee fanno premio su quelle italiane».
PRELIEVI FORZOSI IN ARRIVO?
Infine, con un’altra rasoiata agli artefici dell’Unione bancaria, l’ex ministro cita un commissario europeo, che ha detto: «Con le nuove norme i massicci salvataggi bancari con denaro pubblico diventeranno finalmente un’abitudine del passato». E lui, di rimando: «Sarà anche così, ma solo perché i prelievi forzosi sul risparmio diventeranno l’incubo del futuro».