Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
La Bce dovrebbe acquistare 60 miliardi di euro di bond al mese per sconfiggere la spirale deflattiva e sbloccare la contrazione del credito da parte delle banche europee. Non è la prima volta che viene suggerito all’istituto presieduto da Mario Draghi di seguire l’esempio della Federal Reserve.
IL GRIDO D’ALLARME
Stupisce però che l’invito, quasi un’esortazione, sia stato fatto da Marcel Fratzscher, numero uno dell’istituto di ricerca tedesco Diw, noto per essere sostenitore della linea dell’austerità in Europa e molto ascoltato, almeno fino a ieri, dalla cancelliera Angela Merkel. In un articolo pubblicato su Die Welt, Fratzscher ha lasciato perdere la diplomazia, lanciando un vero e proprio grido d’allarme: «È tempo che la Bce agisca, altrimenti c’è il rischio che l’Europa entri in una pericolosa spirale di crescita al ribasso, per il calo dei prezzi e il declino della domanda». E poiché gli strumenti rimasti in mano a Draghi, da un nuovo taglio dei tassi d’interesse ora allo 0,25%, a un tasso sui depositi negativo a una nuova Ltro condizionata al fatto che le banche prestino il denaro ricevuto alle imprese e alle famiglie hanno efficacia limitata o sono di difficile attuazione», per poter «contrastare velocemente e in modo decisivo la deflazione», alla Bce non resta che «lanciare un ampio programma di acquisto di bond, sul tipo di quello della Fed».
IL PIANO CONSIGLIATO
Draghi dovrebbe quindi dare il via a un piano di acquisti di corporate bond e soprattutto di titoli di Stato per 60 miliardi di euro al mese, somma pari allo 0,7% del debito pubblico totale di Eurolandia, una quota simile a quella del programma della Federal Reserve. Secondo Fratzscher un tale piano verrebbe accolto dal mondo degli affari e sui mercati finanziari europei «con grande approvazione». Il presidente dell’istituto Diw conclude la sua analisi ricordando a Draghi che «la risorsa più importante di una banca centrale è la sua credibilità». Credibilità che la Bce ha conquistato lavorando duramente. «Ma la credibilità», è il monito di Fratzscher, «può essere danneggiata da un’azione sbagliata, ma anche per l’inazione». Inazione, verrebbe da aggiungere, che caratterizza da due mesi a questa parte l’operato della Bce. E che la scorsa settimana ha attirato gli strali di Morgan Stanley, che ha intitolato un suo report Dolce far Niente? Mentre ieri gli economisti di Credit Suisse hanno detto di ritenere che, «dopo le previsioni di inflazione da falco della scorsa settimana, la Bce stia sottostimando le pressioni deflative in Eurolandia». Inoltre, aggiungono gli esperti, «con 15 dei 24 membri del comitato direttivo della Bce che provengono dai Paesi periferici e dalla Francia», l’Eurotower «dovrebbe ricorrere al QE», ovvero all’acquisto di titoli di Stato, se «l’indice Pmi dovesse scendere sotto quota 50», segno che l’attività economica è in contrazione, «se l’euro salisse a 1,50 dollari» (ieri l’euro è rimasto stabile a 1,3860 dollari, un livello comunque molto alto) o se ci fossero shock sulla crescita della Cina».
LE RICHIESTE DELL’OCSE
Ieri anche l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, di cui è stato capo economista il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha chiesto alla Bce di considerare «ulteriori misure» di politica monetaria «nel caso in cui i rischi di deflazione diventino più seri» nella zona euro. L’istituto di Francoforte sembra però indifferente a tutte queste esortazioni. Tanto che il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, ha dichiarato che la comunicazione di giovedì scorso dell’istituto di Francoforte non è stata correttamente interpretata dal mercato, dal momento che l’Eurotower ha rafforzato le indicazioni sui tassi sottolineando che questi rimarranno bassi anche quando la crescita sarà accelerata e l’inflazione vicina alla soglia del 2%, a fine 2016. «Il punto è», hanno però sottolineato gli economisti di Intesa Sanpaolo, «che i mercati e alcuni degli analisti ritengono che la Bce debba in ogni caso fare di più e che in questa fase stia sottovalutando il rischio di deflazione». Insomma, se il 3 aprile la Bce continuerà nel dolce far niente, c’è il rischio che i mercati si arrabbino sul serio.