È un buon governo oppure no quello assemblato in grande fretta da Renzi? È un tormentone destinato a durare ancora diverso tempo. Lasciando da parte le critiche estremiste e interessate come le lodi eccessive e ingiustificate, con un piccolo sforzo di onestà intellettuale si riesce a vedere che no, non è il governo Renzi. Non è il governo che lui avrebbe scelto se avesse potuto passare dalle elezioni.
È almeno l’unico governo possibile? Neppure. Anche a voler evitare un governo di tecnici, possibile che nel suo partito Renzi non abbia potuto individuare figure di maggiore esperienza e competenza, ad esempio nell’ambito della giustizia, degli esteri o di quella pubblica amministrazione che proprio lui dice di voler ribaltare? Per carità, nulla contro le singole persone, ma di qui a incoronarle ai vertici di dicasteri tanto delicati ce ne corre. Del resto, volere il bene del Paese non significa automaticamente saperlo fare e in questo la scelta dei nomi da cui farsi affiancare al governo può davvero fare la differenza.
Si dice che il basso profilo di alcuni ministri si spiegherebbe con l’intento di Renzi di restare il primo attore: se fosse così, sarebbe un autogoal. La drammaticità del momento è tale, in Italia, da sconsigliare l’ennesima sperimentazione dell’uomo solo al comando.
I compromessi accettati con la nuova compagine governativa sono evidenti: come nel vecchio modo di fare politica, sono stati accontentati tutti – partiti alleati e correnti del proprio partito. Realismo politico? Probabilmente sì ed è indubbio che possa servire anche quello. Ma solo entro un certo dosaggio: oltre la medicina rischierebbe di avere troppe controindicazioni per il malato Italia.
Il punto vero non è se i nomi dei nuovi ministri, viceministri e sottosegretari sono discutibili – e di sicuro lo sono – ma se il criterio con cui sono stati scelti sia valido oppure no – e di sicuro non lo è. Andare veloci può servire a restare in equilibrio, ma andare troppo veloci può far andare fuori strada.
D’altro canto, compagini governative di ben altro livello, in passato, hanno combinato molto poco e spesso pasticci. E in ogni caso non si può far finta che sulla scelta di un qualunque Governo non pesino condizionamenti esterni. Dunque, qualche compromesso è accettabile anche nel nuovo Governo, che, del resto, qualche novità positiva l’ha portata: ad esempio, la presenza di donne e giovani. Purché, però, non si rivelino gli ennesimi volti nuovi telecomandati dal vecchio apparato.
Comunque la si voglia vedere, resta la convinzione che le elezioni con una nuova legge elettorale sarebbe stata l’opzione migliore per il Paese. Non solo per non tradire quei principi democratici che sono tutt’altro che astratti e scontati, ma anche per garantire quella concreta forza che serve a un Governo per fare il suo lavoro.
Ciò premesso, resta anche la convinzione che ora convenga a tutti tifare per il nuovo Governo: il neopremier lo puntelli meglio con persone capaci, che non siano solo tecnici o solo politici, ma l’uno e l’altro insieme, perché serve fare sintesi tra competenze e valori.