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Gli omissis del Pd sul caso Moro

In occasione del trentaseiesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro, il sito del gruppo parlamentare del Pd della camera ha reso nota una documentazione sintetica dei verbali delle commissioni d’inchiesta che si occuparono dell’allora presidente della Dc, ucciso dalle brigate rosse. Tali inchieste furono effettuate tra il 1979 e il 2001 e, al tempo, erano state secretate anche per i collaboratori dell’archivio storico del senato, nei cui scantinati quei documenti erano peraltro custoditi gelosamente. Si tratta di una sintesi di circa 400 pagine in Pdf degli originali integrali occupanti più di 150 volumi.

I documenti ora offerti al grande pubblico ripropongono interrogativi ancora sospesi dopo le inchieste parlamentari, quattro-cinque processi, una serie sconfinata di pubblicazioni. I punti oscuri sollevati, però, insistono su questioni, per così dire, minori, benché rivelatori della confusione dell’epoca: l’improntitudine di alcuni indagatori dilettanti (come i presenti alla seduta spiritica di Bologna cui partecipò Romano Prodi); la falsa pista del lago della Duchessa; i mille dubbi sull’impreparazione in cui furono colte le forze dell’ordine; la presenza di troppi servizi segreti sul luogo del rapimento e nelle settimane successive; il gran scrivere di Moro dal carcere brigatista come fosse libero nel suo studio privato; il ruolo dei postini che funsero da tramite fra cancellieri e familiari del rapito; l’impegno parallelo di Paolo VI per salvare la vita di Moro; le spiegazioni date (ma anche non fornite) della linea della fermezza; cui si contrappose, tardivamente, quella della trattativa craxiana e dei rapporti del Psi con l’area dell’autonomia, estesa sino a Parigi, mantenutasi attiva fra il blocco dei partiti e i sostenitori dei terroristi.

La pubblicazione di carte note a pochi politici e a parecchi giudici (alcuni dei quali hanno pubblicato addirittura libri in cui si dicono pentiti delle sentenze emesse: tipo Ferdinando Imposimato, con prefazione di Antonio Esposito), rappresentano una novità. Che va apprezzata per l’iniziativa in sé; e per l’apporto che potrà eventualmente fornire ad una eventuale nuova bicamerale d’indagine di cui si va parlando da qualche mese. Compito dei politici dovrebbe essere quello di accertare le condizioni dell’Italia del tempo, il suo clima generale, le posizioni dei partiti e dei servizi speciali che s’appropriarono di tutte le testimonianze: non l’altro di sostituirsi ai giudici; o, come nel caso specifico, di acquisire dai giudici documenti che dovrebbero, invece, rimanere preservati negli archivi delle corti d’appello. Dà anche da pensare, e non positivamente, la circostanza che, ad enfatizzare tempestivamente le iniziative del gruppo del Pd, sia stato uno dei più valenti redattori giudiziari del Corriere della Sera, molto spesso portavoce delle procure che fanno politica.

Insomma, a parte una modalità per ricordare una ricorrenza che giustamente pesa sulla storia della repubblica, non si comprende bene lo scopo della pubblicazione col tamburo della pur interessante documentazione messa in rete. Questa – si faccia attenzione al periodo delle inchieste – concerne gli anni dal 1979 al 2001, cioè successivi al rapimento, all’assassinio di Moro e alla fine del governo di solidarietà nazionale fra Dc e Pci, mai più ripresa, neppure sotto altra forma.

Ciò che storicamente e politicamente sarebbe stato utile – e resta, invece, ancora semicelato – è l’analisi del periodo precedente: quello della competizione-collaborazione fra i due principali partiti nazionali dopo il voto del 20 giugno 1976; il ridimensionamento delle forze democratiche intermedie; la riottosità del centrodestra scudocrociato a governi sostenuti anche da comunisti; la forte opposizione della base e della maggioranza dei parlamentari e del vertice comunista ad accreditare un governo di matrice democristiana; il peso oggettivo dei terroristi e dei loro fiancheggiatori prima, durante e dopo i giorni della loro massima espansione mediatica; il ruolo dei radicali nel rifiuto delle leggi speciali antiterrorismo che non furono perciò applicate; l’isolamento, anche internazionale, della Dc e gli interessi di diverse potenze mondiali (sovietici, cecoslovacchi, israeliani, palestinesi, tedeschi occidentali, tedeschi orientali, francesi, inglesi e americani) in un processo di destabilizzazione dell’Italia che l’intelligenza di Moro cercava di contenere e di tenere assieme pur da una posizione ufficiale non molto significativa.

Stupisce, in altri termini, che il Pd concentri oggi la sua attenzione politica sulle questioni rimaste senza risposte soddisfacenti nei processi (e con documentazione raccolta da giudici, non da storici), trascurando totalmente il contesto entro il quale i brigatisti nacquero, si organizzarono, incontrarono protezioni italiane e straniere; dimenticando che le diplomazie straniere attingevano a fonti le più varie e di scarsa valenza probatoria, quasi ignorando le posizioni ufficiali di governo, istituzioni e partiti politici. Così aggiungendo confusione a confusione, impreparazione, stordimento, mancanza di lucidità dei poteri pubblici e di comando italiani.

Gli omissis del Pd sul caso Moro sono perciò troppi. Non appartengono alla categoria della marginalità. Non risultano mai presi in considerazione da politici e studiosi morotologhi. Continuano a restare sullo sfondo, consentendo di rimestare faccende oscure. Ma tali evidenti vuoti non giungono a illustrare correttamente il complesso contesto in cui fu possibile la vicenda Moro. Il presidente della Dc s’era fatto troppi nemici, in Italia e fuori. Non aveva, con la propria famiglia, quei vincoli di solidarietà e di affettuose consuetudini che sono stati invece considerati decisivi in troppe ricostruzioni partigiane. Mentre a Piazza del Gesù Zaccagnini e la sua banda stravedevano per Moro; non furono mai con lui (libero) in dissenso; e neppure furono dei vili che lasciarono morire l’amico con cinismo, come pure si continua a far credere impunemente. Moro non era oltre tutto il capo della Dc che girava con l’Unità in tasca come sembrava volesse testimoniare la statua che uno scultore volle dedicargli con un eccesso interpretativo legittimo, ma falsante la realtà storica e deviando quella giudiziaria.

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