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Penultimo tango a Parigi

Nel cronicario dell’eurozona le vicissitudini francesi occupano quel posto d’onore che ben s’addice a un popolo che balla sempre sul confine fra Italia e Germania, indeciso ogni volta fra il consegnarsi ai disastri contabili dei paesi latini o iscriversi d’ufficio nel club di quelli che contano.

Nello spread vieppiù ampio fra i fondamentali economici e quelli politici della Francia, ormai è chiaro a tutti, si gioca la vera partita del futuro di eurolandia. Se, vale a dire, la commedia dell’euro proseguirà il suo cammino o se finirà come la mitica comunità europea di difesa, che sempre la Francia fece abortire sul nascere nei primi anni ’50, o come il progetto di costituzione Ue, che, la Francia ancora una volta, ha “terminato” a inizio XXI secolo.

Non è certo un caso che la commissione Ue abbia messo anche la Francia nella procedura di squilibrio macroeconomico insieme all’Italia e, per motivi opposti, alla Germania, ponendola ancora un volta nel mezzo. Né di qua, ossia il vizioso incartarsi italiano, né di là, ossia il virtuoso correggersi tedesco. La Francia d’altronde, proprio come l’Italia, è oggetto delle amorevoli attenzioni della Commissione e delle sue In depth review già dal 2012, al contrario della Germania che c’è entrata per troppo surplus e solo di recente.

D’altronde le analisi della commissione lasciano poco spazio alle alternative. Nelle sue previsioni più recenti, quelle invernali, gli economisti di Bruxelles fotografano una situazione di crescita con prospettive migliori delle nostre, ma assai meno di quelle tedesche. E anche nella composizione di tale crescita si nota lo stare in mezzo francese rispetto al profondo sud italiano e il profondo nord teutonico.

Il perché è presto detto. La crescita francese, prevede la Commissione, sarà dell’1% nel 2014 e dell’1,7 nel 2015, ben al di sotto di quella tedesca e ben al di sopra di quella italiana (+0,6% nel 2014 e +1,2 nel 2015). Però, proprio come accade per la Germania, sarà la domanda interna a trainarla, senza avere però dalla sua le risorse che hanno i tedeschi.

La Francia, perciò, è condannata ad avere un deficit fiscale al 4% nel 2014 e al 3,9% nel 2015, a fronte di conti esteri sempre sofferenti, che esibiscono un deficit di conto corrente in crescita (al -2,2% nel 2015).

Rispetto a questi dati persino noi italiani sembriamo virtuosi (conto corrente +1,3% nel 2014, +1,2% nel 2015, deficit fiscale -2,6% nel 2014 e -2,2% nel 2015).

Ciò malgrado, la Francia continuerà a ballare il suo malinconico tango sui boulevard parigini e a godersela. Il consumo privato rimarrà robusto quest’anno a il prossimo. Addirittura nel 2015 è previsto quattro volte superiore a quello del 2013. E anche il consumo pubblico rimarrà sostenuto, pressoché al livello del 2013.

Detto in altre parole: la Francia è condannata a spendere più di quanto non sarebbe saggio, perseverando in un deficit fiscale fuori soglia e allargando il deficit estero, se vuole conservare la sua grandeur politica e la sua ambizione di pari grado col vicino tedesco.

E, a dirla tutta, non sembra che i nostri cugini ballerini si facciamo pregare.

E’ vero che a gennaio scorso è stato annunciato il “Responsability pact”, che dovrebbe normalizzare la deriva della spesa pubblica. Ed è vero altresì che è stata approvata una riforma delle pensioni che eleverà gradualmente l’età pensionabile dai 60 ai 62 anni. Ma il cammino francese verso le tanto decantate riforme è ancora assai lungo. Col risultato che la pressione fiscale è prevista costante al 46% del Pil anche per gli anni a venire e il debito pubblico, in assenza di correzioni significative sul deficit, è previsto in crescita fino al 97,3% nel 2015 (dal 93,9 del 2013).

Né c’è tanto da attendersi dal graduale miglioramento della competitività francese, o dall’auspicato incremento di domanda di beni dall’estero, visto che, come ho detto, all’aumento previsto dell’export corrisponde un quasi altrettanto aumento delle importazioni. Sicché il saldo commerciale non darà sollievo alla bilancia dei pagamenti e neanche al Pil.

L’orchestrina (pubblica) francese, insomma, continuerà a suonare la sua musica finché qualcuno non le dirà di smetterla. Ma l’esperienza insegna che i ballerini francesi non capiscono (o non gradiscono) gli inviti espressi in lingue diverse dalla loro. E tendono a imbizzarrirsi e a rovesciare i tavoli, se si insiste.

Al tempo stesso però i più avveduti sanno che la musica non potrà durare ancora a lungo se i francesi non cambieranno danza.

Il penultimo tango pariginio, ci metterà poco a diventare l’ultimo.

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