In funzione dell’avanzamento del processo di integrazione bancaria tra i Paesi europei può essere interessante dare un’occhiata ad alcune più o meno note caratteristiche dei soggetti coinvolti. Partendo dal confronto tra aree valutarie appare sempre più evidente l’eccesso di attivi detenuto dalle banche europee, soprattutto se considerati in rapporto prodotto interno lordo.
IL PERCORSO DA INTRAPRENDERE
Infatti, il valore del rapporto tra attivi bancari e PIL del sistema bancario europeo è il doppio del valore giapponese e quattro volte quello americano. Questa elefantiasi sarebbe accettabile, ma comunque non sostenibile, solo se accompagnata da una redditività altrettanto gigantesca mentre, viceversa, anche gli indicatori reddituali delle banche europee sono modesti. Anche se il dato è ormai vecchio di due anni il percorso dell’alleggerimento deve ancora essere intrapreso e realizzato.
I MOTIVI DEL NO
Come ben noto, il Regno Unito non ha aderito al progetto di unificazione bancaria. Una delle motivazioni si è basata sulla forte presenza delle banche inglesi al di fuori dell’Eurozona. Effettivamente, banche come Standard Chartered e HSBC hanno oltre il 50% dei loro attivi in aree extraeuropee, Asia in particolare. Viceversa, sia Lloyd che Royal Bank of Scotland sono molto più concentrate in Europa. Lloyds, addirittura, è la banca con la maggiore concentrazione nazionale degli attivi a livello europeo, avendo ben il 92% delle attività basate nel Regno Unito.
I DUBBI DI BBVA
In realtà, anche la spagnola BBVA potrebbe chiamarsi fuori dall’unione bancaria avendo quasi il 60% delle attività, quindi la maggioranza assoluta, fuori Europa e precisamente in America Latina. All’opposto, sono solo sei le banche di dimensione sovranazionale che hanno meno del 10% degli attivi fuori dall’Eurozona. È probabile, se non certo, che siano molti gli elementi di criticità presenti nel processo di unificazione bancaria. Quello della distribuzione geografica degli attivi è uno di questi ma forse non il più problematico.
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