L’Italicum non sarà rosa. Almeno nel passaggio alla Camera, nulla ha potuto la protesta delle novanta parlamentari di bianco vestite: bocciati tutti gli emendamenti a riguardo, la nuova legge elettorale non prevede per ora parità di genere.
E mentre femministe della prima e dell’ultima ora gridano allo scandalo, invita alla riflessione Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma, componente del comitato sulle riforme del governo Letta: “Mi stupisce l’eccesso di attenzione e di polemiche attorno a questo tema. La Costituzione all’articolo 51 dice che la Repubblica deve promuovere le pari opportunità tra uomini e donne. Ma dedurre da questa norma che ci debba essere un egual numero di deputati e deputate mi pare arbitrario e illogico”.
Così però prevarranno prevedibilmente le “quote azzurre”…
L’articolo 67 della Carta afferma che ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione, non una categoria o un genere. Creare una rappresentanza forzata in questo senso contrasta con lo spirito liberale. Ciò che conta è che ci sia la parità delle chance, dei punti di partenza. Tutti i cittadini devono essere posti nelle condizioni di parità per accedere a uffici pubblici, come recita l’articolo 51.
Renzi pensa di arginare il problema proponendo alternanza assicurata nella composizione delle liste. Potrebbe essere una soluzione?
In questo modo l’alternanza sarà assicurata ma come farà con le primarie? Mi chiedo come si possano conciliare i rigidi criteri di ripartizione basati sul genere con l’idea di candidare chi ha più voti che regola le primarie.
Come le sembra questa riforma, al di là della questione femminile?
Il fatto più grave è che si approva una legge solo per la Camera, dando per scontata la riforma sul Senato. In caso di elezioni anticipate, sarebbe il caos: due Camere elette con sistemi profondamente diversi, una che tende ad assicurare un vincitore a Montecitorio, una di tipo proporzionale puro a Palazzo Madama. Bisogna rompere questa asimmetria pericolosa e procedere di pari passo con riforma del bicameralismo e legge elettorale.
La legge in sé, se si guarda solo alla Camera, la convince?
Ho delle perplessità. Prima fra tutte sul mito della governabilità. Forzare l’esito del voto per ottenerlo porta al rischio di coalizioni eterogenee che si sfaldano nel momento in cui vanno al governo. Dal ’94 ad oggi, escludendo le ultime elezioni, abbiamo sempre saputo chi era il vincitore. Ma ciò non ha garantito esecutivi forti. La governabilità non è la medicina per i mali che derivano dal cattivo governo del Paese.
Sulle soglie di sbarramento cosa pensa?
Non mi convince la varietà delle soglie. Perché penalizzare chi si presenta da solo con la soglia altissima dell’8%? Si poteva prevedere una soglia unica del 4 o 5%, come in altri Paesi. Un altro punto delicato a riguardo è che nelle coalizioni chi non arriva al 4,5% non ha diritto a seggi e i voti che ha ricevuto vanno a beneficio della coalizione. Trovo singolare che ci siano partiti portatori di acqua ma a cui non viene riconosciuta alcuna rappresentanza. È un meccanismo che rende ancora più ampio il premio di maggioranza assegnato al partito maggiore.