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Perché le Borse non credono a una guerra tra Russia e Ucraina

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Nel corso delle schermaglie verbali fra Usa e Russia sulla crisi ucraina in puro stile Guerra Fredda, il sottosegretario di Stato, Nicolas Burn, ha dichiarato che Washington sta valutando come rimuovere gli ostacoli federali all’esportazione di gas per togliere potere di ricatto alla Russia, il maggiore fornitore dell’Ucraina e dei Paesi Ue.

LA MINACCIA DEL CREMLINO
Secondo questo ragionamento, l’implicita minaccia del Cremlino di chiudere i rubinetti del gas per mettere a tacere le proteste europee contro l’annessione della Crimea sarebbe un’arma spuntata. In realtà quello dell’amministrazione Obama è stato solo un fuoco d’artificio retorico. Come ha osservato Julius Walker, strategist dei mercati energetici di Ubs, «per il momento gli Usa non hanno la capacità di esportare il gas naturale, né in Europa né in altre parti del mondo».

POCA CONVENIENZA
Il primo impianto americano per il gas liquefatto destinato all’esportazione sarà completato nel 2015 e molti altri ne seguiranno, ma, ha sottolineato Walker, «la capacità di esportazione attualmente prevista non sarà sufficiente a soddisfare tutte le esigenze dell’Europa». Il Vecchio Continente dovrà quindi continuare a tenere conto della Russia per le sue forniture di gas. Anche perché «ancora per lungo tempo, se non per sempre» il prezzo del gas liquefatto in arrivo dagli Usa non sarà competitivo rispetto a quello russo. Secondo Walker, la domanda da farsi è «se alcuni Paesi europei vorranno pagare un premio per aumentare la sicurezza delle loro forniture». Una questione che comunque potrà essere posta solo in un futuro non vicino.

LA REAZIONE DELLE BORSE
Nell’immediato, invece, è interessante vedere come venerdì 14 le borse siano state appese alle parole del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov. Non appena il capo della diplomazia russa, al termine di un incontro a Londra, durato sei ore, con il collega americano John Kerry ha affermato che «non è nei piani di Mosca invadere l’Ucraina dell’Est»», gli indici delle borse europee sono tornati a salire, anche se alla fine solo Francoforte è riuscita a chiudere in territorio positivo.

CLIMA DA GUERRA FREDDA
Visto il clima di revival della Guerra Fredda, è facile immaginare che, quando si vorrà dare una scrollata alle borse, si farà girare nelle sale operative la voce della morte di Vladimir Putin, così come succedeva ai tempi delle vecchie cariatidi alla guida del Partito comunista sovietico, Leonid Breznev e Yuri Andropov. Sui mercati, comunque, nessuno crede veramente allo scoppio di un conflitto armato fra Russia e Ucraina. Secondo Vadim Khramov, economista di Bank of America Merrill Lynch, «è improbabile» che il Cremlino «acceleri le decisioni per accettare la Crimea come parte della Russia» perché userà la penisola come uno «strumento di contrattazione» nei più ampi negoziati sul futuro dell’Ucraina e per rispondere alle sanzioni economiche degli Usa e dell’Ue.

SANZIONI IMPROBABILI
Khramov è comunque convinto che sia «molto improbabile» l’attuazione di «serie sanzioni economiche» contro la Russia, anche perché non servirebbero a far cambiare politica al Cremlino, visto che è «pronto a pagare un prezzo relativamente alto» per perseguirla. Sul fronte più squisitamente finanziario, poi, secondo l’economista di Bank of America Merrill Lynch non sarà necessario ristrutturare il debito dell’Ucraina perché Kiev ha problemi di liquidità nell’immediato, ma ha bisogno di soli 3,6 miliardi di dollari da qui alla fine dell’anno, e il rapporto debito pubblico/pil è inferiore al 50%. Il settore bancario avrà invece bisogno da qui al 2016 di rafforzare il capitale, da 3 a 10 miliardi di dollari, ma Khramov è sicuro che queste risorse arriveranno dai privati.

UN PAESE POVERO, UNA CRISI PASSEGGERA
Sulla carta, insomma, l’Ucraina è un Paese povero (il pil pro capite è di soli 7.295 dollari, al confronto i rumeni con i loro 12.722 dollari sono ricchi) ma dai fondamentali sani nonostante il precedente presidente filo-russo Viktor Yanukovich sia accusato di aver rubato a piene mani dalle casse dello Stato. Quella ucraina è quindi una tempesta passeggera e, secondo Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, finirà che «Putin si terrà la Crimea e l’Occidente si terrà un’Ucraina finlandizzata, con un forte grado di autonomia per le regioni russofone». Che è poi quanto suggerito dall’ex segretario di Stato Usa, Henry Kissinger.


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